
Di Cristina Casella
Quella che sto per raccontarvi è la storia di un terribile delitto, forse tra i più efferati degli ultimi anni. Per trovare un precedente simile in termini di brutalità, sadismo e consapevolezza, dobbiamo tornare indietro al 1975, più precisamente al massacro del Circeo. La tragica vicenda accaduta qualche settimana fa potrebbe rappresentarne una riproposizione in chiave moderna. Cambiano i carnefici, la vittima e lo stesso contorno sociale, ma certi agiti sembrano non essere andati fuori moda.
Siamo nella periferia est di Roma, quartiere Collatino. È sabato 5 marzo, quando i Carabinieri fanno irruzione in un appartamento di via Igino Giordani. All’interno viene rinvenuto il cadavere di un giovane ragazzo, Luca Varani. Il suo corpo – dilaniato dalle coltellate e con un punteruolo conficcato nello sterno – giace su un letto intriso di sangue. Soltanto un piumone prova a coprire quella mattanza. I militari si recano sul posto poiché precedentemente allertati dal proprietario dell’immobile, Manuel Foffo. Quest’ultimo, infatti, ha appena confessato al padre di aver ucciso una persona. Non avrebbe agito da solo, racconta, ma assieme ad un amico. Il genitore, sconcertato, decide di chiamare l’avvocato di famiglia ed è proprio a seguito di un colloquio col legale che Foffo sceglie di costituirsi. Il giovane, dopo aver consegnato il suo cellulare e le chiavi dell’appartamento, viene immediatamente arrestato e portato in Caserma.
Nel frattempo, la Scientifica arriva sul posto per effettuare i primi rilievi: la scena del crimine è letteralmente agghiacciante. Appare subito chiaro che la parte finale dell’azione omicidiaria si sia consumata in camera da letto. Il bagno e l’ingresso del trilocale di via Giordani, luoghi dove è partita l’aggressione nei confronti di Varani, mostrano evidenti segni di ripulitura. «A una prima occhiata il pavimento sembra pulito, ma non è così. Basterà una boccetta di Luminol e tutto si illuminerà come un albero di Natale» afferma un inquirente. Gli stracci e il sapone che Foffo si è fatto consegnare dalla madre non sono stati sufficienti a cancellare le tracce di sangue dagli ambienti. Sì, perché spesso la coscienza non viene oscurata completamente dalla follia assassina e in qualche modo si cerca di porre rimedio a quanto appena commesso. L’opera di morte ai danni di Luca Varani, però, si concretizza anche per mano di una seconda persona, Marco Prato. Conosciamo meglio i due carnefici.
Manuel Foffo, 30 anni, studente universitario fuori corso. Figlio di un assicuratore a capo di una tra le più importanti agenzie romane di pratiche auto e proprietario di un noto ristorante sito in zona Pietralata. Un anno e mezzo fa, il giovane, si era visto ritirare la patente a causa dell’utilizzo assiduo di alcol e droga.
Marco Prato, 29 anni, una laurea in scienze politiche e un lavoro come organizzatore di eventi. Nell’ambiente della movida romana il suo nome è molto conosciuto. Alle spalle, Marco, vanta anche un flirt con la showgirl Flavia Vento. È figlio di Ledo Prato, docente universitario e consulente del Mibac (Ministero dei beni e delle attività culturali).
Due ragazzi della Roma bene ai quali – almeno in apparenza – sembra non mancare nulla. Prato e Foffo si sono conosciuti in occasione del Capodanno 2015. «Marco è gay, io sono eterosessuale. Abbiamo avuto un rapporto e lui ha girato un video. Ho temuto potesse ricattarmi, ecco perché ho continuato a vederlo.» racconta Foffo agli inquirenti. Ed è così che continua la loro assidua frequentazione. Gli incontri sono sempre scanditi da eccessi, proprio come è accaduto quel mercoledì 2 marzo. I due si danno appuntamento a casa di Foffo e si chiudono in casa, senza uscire, per 48 ore. Bevono super alcolici, sniffano 1.800 euro di cocaina e consumano numerosi rapporti sessuali. In questo lasso temporale, non trovano neppure il tempo per mangiare. Soltanto le visite degli spacciatori – in piena notte – sospendono per qualche istante la corsa ininterrotta verso l’autodistruzione. Fino a giovedì sera, quando i due maturano l’idea di uccidere qualcuno. Durante il suo lungo interrogatorio, Foffo racconta:
Avevamo il desiderio di fare del male a qualcuno, allora siamo usciti in macchina. Però non abbiamo trovato nessuno che facesse al caso nostro.
A Marco Prato viene in mente Luca Varani, un ragazzo conosciuto da poco. L’indomani mattina, attorno alle 7:30, gli invia un messaggio tramite WhatsApp, proponendogli un incontro sessuale per 120 euro. Varani accetta. In quel momento, Luca si trova a bordo del treno regionale La Storta/Formello-Ostiense per andare al lavoro. La proposta di Prati, però, gli fa cambiare idea, tanto da rinunciare alla giornata lavorativa. Alle 8:30, Varani si trova al civico numero 2 di via Igino Giordani. Sale al decimo piano dello stabile, sulla porta viene accolto da Marco Prato travestito da donna. La coppia non perde tempo, offrendogli subito una bevanda super alcolica all’interno della quale è stato diluito dell’Alcover, un coadiuvante nel controllo della sindrome da astinenza da sostanze etiliche. Foffo ne faceva uso, a seguito di prescrizione medica. L’Alcover, conosciuto anche come GHB, viene spesso utilizzato per compiere atti di violenza sessuale: il fatto che sia incolore ed insapore lo rende facilmente mascherabile in qualsiasi tipo di bevanda. Il GHB provoca uno stato iniziale di stordimento e sedazione, consentendo all’abusante il pieno controllo della vittima. Infine, la sostanza riesce anche a frammentare il ricordo, impedendo la ricostruzione della violenza subita.
Non passerà molto tempo dall’ingestione prima che Luca si senta male e vada in bagno a vomitare. Prato e Foffo gli chiedono di lavarsi, lo vogliono pulito. Dopo la doccia, ancora mezzo nudo, lo stordiscono dapprima con una martellata, poi – per impedirgli di gridare – gli tagliano la gola, probabilmente recidendo le corde vocali. La furia omicida non termina lì: una raffica di coltellate – 25 per l’esattezza – raggiungono il corpo del povero Luca. E ancora martellate così forti da frantumargli le mani, inibendo definitivamente ogni tentativo di difesa. Quando il giovane, ormai moribondo, rantola sul pavimento in una pozza di sangue, uno dei due decide di dargli il colpo finale con una coltellata al cuore. La stessa lama è quella che ne trafigge il petto al momento del ritrovamento. Sembrerebbe la trama di un film horror, peccato che sia tutto vero.
Mentre Luca è in terra, forse ancora vivo, Foffo e Prato si addormentano sul letto, nella stessa stanza teatro della tragedia. Solo al risveglio, realizzano quanto accaduto. Per prima cosa, si disfano dei vestiti della vittima: dopo averli raccolti in un sacchetto, decidono di gettarli in un cassonetto assieme al suo telefono cellulare. Successivamente cercano di ripulire i pavimenti. Poi, ognuno per la sua strada. Foffo, assalito dai sensi di colpa, confessa tutto al padre. Prato tenta il suicidio, ingerendo barbiturici in una camera d’albergo nei pressi di Piazza Bologna. La sua, tuttavia, potrebbe essere solo una squallida messinscena. Luca, invece, è ancora lì, adagiato su quel letto. Poteva salvarsi, dirà l’autopsia, ma è morto dissanguato.
Aveva soltanto 23 anni. Un ragazzo dolce e sensibile, così viene descritto dalla sua famiglia. Non aveva ancora capito cosa fare nella vita, ma a quell’età è del tutto comprensibile. Era nato a Sarajevo, Luca. I suoi genitori biologici lo avevano affidato ad un orfanotrofio, unico posto sicuro ai tempi del conflitto nella Ex-Jugoslavia. In seguito, a soli quattro mesi, era stato adottato e portato in Italia da una coppia di romani. Il destino era riuscito a strapparlo da un orrore chiamato guerra, ma nulla ha potuto fare contro quei tratti oscuri e imperscrutabili della follia umana. Luca viveva in una famiglia umile. Ogni tanto si arrangiava con dei lavoretti, dal carrozziere al pizzaiolo. «Forse i soldi non gli bastavano. Una volta gli ho prestato qualcosa perché era rimasto senza benzina, ma lui si era subito affrettato a dirmi che me li avrebbe restituiti» racconta un amico del quartiere. Nessuno, però, pensava che si prostituisse. Anzi, sono tutti convinti che Luca sia stato attirato in quell’appartamento con un tranello. Anche la fidanzata, con cui il giovane stava da ben 9 anni, ritiene che ogni maldicenza abbia il solo scopo di infangarne il nome e la memoria, dopo una fine così impietosa.
Terribile tragedia che a distanza di anni fa ancora male. Troppi po’ hi 30 anni a Foffo. Non dovrebbe esserci il rito abbreviato per questi casi malvagi. Sfortunato Luca, la vita aveva deciso per lui un triste destino, a nulla è valso cercare di sfuggirlo.
riposa in pace dolce e giovane angelo Luca❤