Rientrano in quello che è indicato come numero oscuro della criminalità quei reati che, non venendo denunciati, non vanno a comporre le statistiche ufficiali ed i cui autori rimangono sconosciuti e impuniti.
La presenza di un numero oscuro mette in risalto l’errore di chi pretende di studiare un fenomeno, il crimine, sapendo che solo una parte della realtà effettiva diviene oggetto di osservazione e di analisi. Ne consegue che, se si trascura il problema del numero oscuro, si continua a studiare una realtà che, sul piano quantitativo e qualitativo, è in gran parte sconosciuta.
Se il numero delle persone registrate come delinquenti ed il numero dei comportamenti registrati come reati indicano non il numero delle persone che hanno effettivamente commesso un reato, bensì il numero degli individui nei cui confronti si è espressa una reazione sociale giuridicamente significativa, ne consegue che l’oggetto criminalità può essere ritenuto rappresentativo unicamente se si accoglie una prospettiva istituzionale.
Va da sé che è lecita e fondata la domanda se ciò che ignoriamo del fenomeno criminoso non sia più significativo di ciò che conosciamo e quale sarebbe l’atteggiamento verso la delinquenza e chi delinque, sia in termini emozionali che di politica criminale, se tutto o parte di tale “fenomeno sommerso” venisse alla luce.
Tipico pare il caso della pedofilia e della violenza in famiglia, degli abusi di dovere sul lavoro, del pizzo nelle città affrante da questa piaga, del baronato e del sistema di raccomandazioni sul lavoro