
Di Michela Donvito
Cosa ha ucciso mio padre?
Un lupo mannaro.
Un lupo mannaro? Non sono solo una leggenda?
Sì e no. Non sono solo nella casetta della nonna nel bosco. O solo a Londra. Sono qui, in città. Vivono e lavorano tra noi. La maggior parte sa controllare la trasformazione, tenere a freno la bestia che ha dentro, ma a volte la bestia si libera, e succede…beh…questo…
Si chiama Licantropia clinica quella rara sindrome psichiatrica che induce chi ne è affetto a credere di potersi trasformare in un animale, spesso in un lupo, nell’aspetto ma principalmente nel comportamento. Chi è affetto da licantropia clinica perde la coscienza degli esseri umani, ha delle allucinazioni, che gli fanno pensare di potersi trasformare in un animale. Questa malattia è associata a stati alterati di mente che sono collegati a psicosi con allucinazioni e deliri. Negli stadi più gravi i malati desiderano cibarsi di carne cruda, a volte umana, e di sangue.
La convinzione di diventare lupo non dipende dalla Luna, non ci sono né pellicce né ululati, ma solo un’idea patologica.
…spiega Vincenzo Maria Mastronardi, docente di psicopatologia forense all’Università La Sapienza di Roma…
È una forma di delirio zooantropico, che si può esprimere in diversi disturbi psichiatrici di personalità di tipo paranoide o in alcune forme di psicosi. In psichiatria, il disturbo è definito anche Licantropia di Nabucodonosor, dal nome del re che a causa della sua vanità, come si legge in un passo della Bibbia, fu trasformato in una specie di lupo e assunse un comportamento animale.
Nel corso della storia, invece, e a causa delle credenze popolari, sono stati definiti “licantropi” e, purtroppo anche condannati a morte, molti soggetti che presentavano queste caratteristiche:
- veniva attribuita questa trasformazione alla trasmissione umana del morbo della rabbia. Come fattore epidemiologico, questo avvenne soprattutto nel Medioevo;
- i personaggi particolarmente pelosi, che in realtà soffrivano di ipertricosi, nota come sindrome di Ambras, una malattia rara;
- chi era affetto da fibromatosi gengivale. Questa condizione dà l’apparenza di un orso o scimmia, piuttosto che lupo;
- uomini o bambini selvaggi o selvatici. Le persone che erano isolate in diversi ambienti o crescevano in mandrie di animali.
Nel Medioevo furono moltissimi i condannati al rogo per mannarismo. In quel periodo venivano attribuiti al demonio la maggior parte dei comportamenti criminali. Furono emanati editti per la cattura e l’uccisione dei “lupi mannari”, tra questi c’erano però anche i criminali veri, ecco alcuni esempi:
Gilles Garnier, Lione, 1573, uccideva e mangiava bambini per il semplice piacere di farlo, ovviamente confessò tutto sotto tortura e fu mandato al rogo.
Il Lupo mannaro di Chalons, Francia, 1598. Di lui si sa solo che era un sarto e attirava i bambini nel suo laboratorio, li torturava dando libero sfogo alle sue pulsioni sessuali e poi li uccideva e se ne cibava. Se le vittime non andavano da lui, le andava a cercare, si dice, sotto forma di lupo. Fu catturato e arso vivo nella pubblica piazza, ma non mostrò mai segni di pentimento.
La famiglia Gandillon, stesso anno, (ancora Francia…): fratello, sorella e due figli dell’uomo. La donna aveva un comportamento animalesco: credeva di essere un lupo, e un giorno assalì due bambini, ma uno sopravvisse. Da lei si risalì anche agli altri tre, tutti ammisero di potersi trasformare in lupi e come tali si comportavano, camminando a quattro zampe e ululando, ma solo la donna era un’assassina.
Germania, 1580: arti umani smembrati vennero trovati nei campi attorno a Bedburg, (vicino a Colonia) all’inizio la colpa fu attribuita ai lupi. In seguito venne accusato un certo Peter Stubb (c’è chi sostiene che in realtà fosse un capro espiatorio), che confessò di essere omicida e cannibale, a causa della sua natura di uomo lupo. Le 16 vittime (la maggior parte bambini) erano state violentate e torturate, prima di essere uccise e mangiate. Anche in questo caso la punizione fu la tortura seguita dal rogo.
Fino al 1603 ci furono circa 600 roghi di presunti lupi mannari, e il fenomeno (supportato da “confessioni” di licantropia più o meno spontanee) continuò fino al 1767, anno in cui fu ucciso il lupo vero (pare): La bestia di Le Gevaudon, che seminò terrore e morte per tre anni. Il totale delle vittime accertato fu di 136, su almeno 270 attacchi totali, 14 delle quali decapitate, forse a causa della trazione esercitata sul collo dalla bestia per trascinare i cadaveri delle vittime. Ma con ogni probabilità le vittime furono molte di più, forse 150-200, in quanto ad un certo punto si smise di conteggiarle per ordine dello stesso re.
Ancora oggi circolano molte ipotesi e leggende sulla vera identità della bestia. Per molti si trattò di un lupo di sproporzionate dimensioni, per altri ancora si sarebbe potuto addirittura trattare di un serial killer camuffato da animale, ma i numerosi resoconti dell’epoca non citano neppure una volta il ritrovamento di impronte umane, sulla neve o nel fango, accanto ai cadaveri delle vittime. Le impronte rinvenute furono sempre di canide, tanto che si diffuse la credenza popolare che potesse trattarsi di un lupo mannaro.
Nel giugno 1767 un certo Jean Chastel uccise probabilmente la vera bestia, in quanto dopo non ci furono più attacchi né vittime. Con ogni probabilità si trattava, come per alcune delle altre bestie uccise prima di allora, di un lupo divenuto antropofago. Chastel portò il corpo dell’animale al re. Il cadavere dell’animale ucciso da Chastel, malamente imbalsamato, fu immediatamente distrutto per ordine del re.
Nel 1824 un ragazzo di 29 anni di nome Antoine Lèger andò a vivere in un bosco da solo, e non si accontentò di dare la caccia agli animali. Attirò una ragazza nella sua caverna e la uccise, confessando poi, dopo la cattura, di aver mangiato parti del suo corpo. I medici lo dichiararono psicotico.
Nel 1897 (di nuovo in Francia!) un uomo di 29 anni, Jospeh Vacher, venne accusato di 11 omicidi. Confessò di provare un impulso irrefrenabile, che lo portava a uccidere, aprire i corpi delle vittime e bere il loro sangue. Il fatto che ricordasse tutto lucidamente spinse i medici esaminatori a dichiararlo sano di mente, anche se era stato in un ospedale psichiatrico tre anni prima e aveva già commesso degli omicidi a sfondo sessuale. Fu condannato e giustiziato.
Il caso De Witt Clinton Cook è decisamente singolare. Fra l’ottobre del 1939 e l’agosto del 1940, aggredisce, con il chiaro intento di uccidere, quattro ragazze e le picchia con un manganello con una ferocia spropositata, ma, in tre occasioni su quattro, succede qualche imprevisto che lo costringe a scappare senza portare a termine quello che si è prefissato. La prima aggressione avviene in una notte di luna piena di ottobre 1939. La vittima è Ruth Alderman, una studentessa dell’università di Los Angeles che, pur essendo attaccata di sorpresa, riesce a metterlo in fuga. Il 24 febbraio 1940, Cook aggredisce una studentessa russa, Anya Sosoyeva, picchiandola selvaggiamente con un manganello; la ragazza riesce a fuggire, ma muore qualche tempo dopo per via delle ferite riportate alla testa. In marzo, in un’altra notte di luna piena, Cook attacca la diciassettenne Delia Bogard che sta rientrando a casa; la ragazza si mette prontamente a urlare e una signora che passa lì vicino interviene e costringe l’aggressore a fuggire; nonostante la ferocia delle percosse, la Bogard riesce a salvarsi dopo un certo periodo in ospedale. Il 23 agosto 1940, Cook aggredisce una giovane cameriera, la violenta e la picchia ripetutamente, lasciandola per terra come morta; fortunatamente, la tempra fisica della ragazza è molto resistente e, pur essendo in condizioni critiche, riesce a sopravvivere. La sera successiva a quest’ultima aggressione, una coppia che sta passeggiando in Oakwood Avenue vede un uomo che si aggira con fare sospetto e decide di chiamare la polizia, che arriva velocemente e lo arresta. Quell’uomo è De Witt Clinton Cook. Condannato all’ergastolo, Cook muore nel carcere di San Quintino il 31 gennaio 1941.
Il caso di De Witt Clinton Cook è stato studiato con particolare attenzione dal famoso psichiatra Paul De River. Secondo la sua analisi, Cook soffriva di un complesso di inferiorità sessuale, forse provocato dalle ridotte dimensioni dell’organo sessuale, e nelle aggressioni usava il manganello come surrogato della potenza sessuale che sentiva di non avere. Interrogato sul motivo che lo aveva spinto ad aggredire nelle notti di luna piena, Cook ha spiegato che era mosso da un impulso irresistibile che lo portava a desiderare di uccidere come se fosse un licantropo.
Attendo che la bestia respiri dentro di me, sento la luna squarciarmi il cuore, la mia pelle freme e sta per rivoltarsi lasciando che il pelo venga fuori. Zanne feroci spingono sotto le mie gengive, attendo il tempo che sangue caldo sgorghi in me scuotendomi i sensi e alimentando la furia. Ascolto le voci della foresta, sento il cuore dei piccoli animali battere all’impazzata, sento i loro respiri, portati dal tramonto che vedrà i miei artigli fendere l’oscurità. La mia voce sarà il canto delle tenebre e scuoterà il silenzio della notte, annunciando la mia venuta. L’uomo si fa bestia e la bestia uomo, nell’argento della maledizione che ci fa temere l’ultima eclissi.
(Stephen Laws, “I figli della notte”)
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