Di Lara Vanni
Un contratto con Satana, la firma in calce con il sangue, l’omicidio di quattro persone.
Non è la trama del sequel del Faust, ma una storia tutta italiana realmente accaduta in provincia di Catanzaro.
Claudio Tomaino nel 2006 ha 29 anni ed è un geometra dalla vita complicata, dalla personalità quasi indecifrabile, con probabili problemi psichici. Quattro anni prima ha perso il padre, il suo matrimonio è fallito ed ha cominciato una convivenza con Daniela. Tenta di continuare gli studi universitari dopo il diploma, ma il suo più grande desiderio è la serenità economica per la quale è disposto a fare di tutto, anche vendere l’anima a Satana.
Tutto inizia quando Camillo Pane, lo zio, decide di affidare a quel nipote “strano” la contabilità della famiglia. I due cominciano a fare affari loschi, muovendo somme che vanno dai 40.000 agli 80.000 euro al mese, concludendo transazioni finanziarie senza avere alcuna esperienza nel campo.
27 marzo 2006, tarda mattinata: nelle campagne di Caraffa, in località “Tre Olivare”, a pochi chilometri da Catanzaro c’è il casolare di Camillo Pane, infermiere dipendente dell’ASL di Lamezia Terme, di sua moglie Annamaria, casalinga, e dei loro due figli, Eugenio, 22 anni, iscritto alla facoltà di Farmacia dell’Unical e Maria, al quarto anno del Liceo Scientifico di Decollatura.
Tutti e quattro vengono uccisi a colpi di pistola da uno o più assassini: Camillo è stato ucciso con due colpi di pistola, uno alla testa ed uno all’addome, era completamente depilato. I Carabinieri, giunti sul luogo dopo una telefonata anonima, prima di arrivare al casolare rinvengono sulla strada una grande pozza di sangue. Proseguendo, all’esterno del casolare trovano i cadaveri di Camillo Pane e di sua moglie, ricoperti da pietre e lamiere di eternit, quasi a volerli tenere nascosti e infine all’interno i cadaveri dei loro due figli.
I colpi di pistola sono stati sparati a distanza ravvicinata, senza alcuna pietà.
La macchina della famiglia non è sul luogo. Subito vengono allertati il reparto investigazioni scientifiche ed il RIS di Messina. Partono le indagini: vengono identificati i cadaveri, viene fatto il sopralluogo sulla scena del crimine e vengono richiesti i tabulati telefonici.
Durante la perquisizione del casolare della famiglia Pane, vengono ritrovati documenti finanziari molto interessanti, assegni e titoli di credito che vanno ben oltre le normali possibilità di quella famiglia. Sul computer, sui CD e sui dischetti repertati, sono state trovate informazioni fondamentali sul consulente finanziario della famiglia Pane. Si risale a Claudio Tomaino, che sarebbe stato socio di un’attività di restauro di mobili antichi e si occuperebbe di aste giudiziarie. Tra Claudio Tomaino e Camillo Pane, probabilmente ci sono stati dei dissidi riguardanti le attività economico-finanziare.
Nel frattempo viene ritrovata l’automobile della famiglia Pane presso il parcheggio della stazione ferroviaria di Paola. Un chiaro tentativo di depistaggio dell’assassino dato che si scopre che la sorella di Camillo Pane, Lina, il giorno della strage, verso le ore 18.00, ha ricevuto una telefonata effettuata da una voce chiaramente contraffatta:
Siamo alla stazione di Lamezia, prendiamo il treno per Torino e staremo fuori per un mese. Non preoccupatevi”.
A parlare è l’assassino che si spaccia per Camillo: i cadaveri, però, sono già stati ritrovati.
Claudio Tomaino viene fermato, portato in caserma e interrogato per svariate ore. Tradito anche dai tabulati telefonici: sarebbe stato al casolare nel momento in cui la famiglia Pane veniva trucidata per poi spostarsi a Paola. Prima di essere accompagnato in caserma, Tomaino ha fatto una doccia e si è messo una felpa nera con cappuccio e bordini rossi: durante l’interrogatorio dirà che quelli sono i colori di Satana, indossati come protezione contro la sfortuna, così come un anello con una grossa pietra blu, che lui ritiene essere “l’anello del Diavolo”.
Comincia dichiarando:
Io facevo documenti falsi che servivano allo zio per far credere a sua moglie che partecipasse alle aste giudiziarie. Adesso, dopo quello che è successo, non vorrei che se la prendessero con me per l’ omicidio”.
Ma gli indizi contro di lui e che lo incastrano sono “gravi, precisi e concordanti”. Ammette di essere il proprietario della pistola calibro 9×21 di fabbricazione cecoslovacca, con la quale sono stati uccisi i suoi quattro parenti, e di essere andato al casolare in quanto aveva, effettivamente, un appuntamento.
Nel suo appartamento, sulla scrivania viene rinvenuto un contratto con Satana, firmato col sangue:
Io sottoscritto, Claudio Tomaino, nato a Soveria Mannelli l’8-3-1977, mi impegno a donare la mia anima da morto e la mia da vivo nel servire il grande maestro e signore del male Satana, se lui si impegna a darmi in cambio felicità, denaro e lunga vita, aiutandomi a non fare carcere, a eliminare zio Camillo e famiglia e a creare una famiglia con dei figli con Daniela, la mia compagna, e di rendere felice anche mia madre, e io in cambio per lui farò tutto quello che vorrà.”
A quel punto dice di far parte di una setta satanica, alla quale apparteneva anche Camillo Pane, parla degli incontri segreti avvenuti sia in Calabria che fuori, dei riti che dovevano essere eseguiti alla perfezione (egli stesso ammette: “Ho studiato e ho fatto pratica”), di come cancellare i segni dei sacrifici e dell’importanza del sacerdote rispetto agli adepti.
Racconta che Eugenio Pane era simpatizzante della setta: gli inquirenti sospettano anche un coinvolgimento di Eugenio, una delle vittime, o quanto meno la conoscenza dei propositi di Tomaino. Il movente della macchinazione criminosa potrebbe essere quello di impadronirsi del patrimonio della famiglia Pane, ma l’accordo, forse, è saltato ed anche Eugenio è finito vittima dell’avidità e della follia di Tomaino. Dai sopralluoghi, è emerso che Eugenio Pane è stata l’ultima vittima di Tomaino, ucciso dopo un inutile tentativo di fuga.
Tomaino durante l’interrogatorio afferma una cosa sconcertante: l’uccisione dei suoi quattro parenti sarebbe stata un sacrificio richiesto da Satana, in cambio dell’accrescimento del suo potere.
L’uomo viene arrestato con l’accusa di omicidio volontario plurimo aggravato in concorso con ignoti: gli inquirenti sono convinti che questa strage sia stata compiuta da Tomaino, ma in complicità con altre persone che non verranno mai rintracciate.
Rinchiuso nel carcere di Viterbo, in una cella singola del reparto “detenuti comuni”, Tomaino tenta il suicidio più volte: una volta tagliandosi le vene, un’altra inghiottendo delle lamette e un’altra ancora assumendo una grande quantità di barbiturici.
Conduce un’esistenza solitaria, socializzando poco con gli altri detenuti, ma tenendo sempre un comportamento consono al regolamento carcerario.
Alle 9.30 del 19 gennaio 2008 viene ritrovato dagli agenti della Polizia Penitenziaria disteso sul letto, in posizione prona, con una busta di plastica in testa. Era in attesa della perizia psichiatrica.
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