Autori: Vincenzo Lusa e Beatrice Pecora
Casa editrice: Key Editore
Prezzo: 16 euro
Pagine: 186
«Arriviamo a capire cosa significa pensare, quando noi stessi pensiamo. Perché un tale tentativo riesca dobbiamo essere preparati ad imparare a pensare».
Così Martin Heidegger, in Vorträge und Aufsätze (Saggi e Discorsi), icastica definizione che, felicemente, può applicarsi a “Dissertazioni Criminologiche nell’Italia Pre e Post Unitaria”: un volume che medita e fa’ meditare circa il dipanarsi del pensiero criminologico nel Tempo; cosa che, per una disciplina quale la criminologia, il cui cielo è spesso (e suo malgrado) costellato da abborracciati luoghi comuni, non è poco.
Scritto a quattro mani da Vincenzo Lusa, Docente di Diritto Penale ed Antropologia della Devianza, noto alle cronache del mondo scientifico per gli importanti contributi siglati nel campo dell’epigenetica; e Beatrice Pecora, giurista-criminologa alla sua prima prova d’autore, Dissertazioni Criminologiche è un orologio le cui lancette percorrono il quadrante del Bel Paese dalle sponde del Mediterraneo alle Alpi, raccogliendo non solo le briciole dell’evoluzione di una materia, per carattere multidisciplinare, ma problematizzandone anche l’eredità culturale.
Se l’album dei ritratti di famiglia non può non annoverare il nome di Cesare Lombroso (1835-1909), per quanto non ridotto ad una sterile “fossetta” sulla groviera della scienza, il volume introduce il lettore alle voci, ingiustamente sepolte dalla coltre della pigrizia della letteratura secondaria, di Napoleone Colajanni (1847-1921) e Benigno di Tullio (1896-1979), il cui centoventesimo genetliaco è ricordato attraverso l’analisi degli istituti del Codice Penale che risentono, ancor odiernamente, della nomenclatura dei Tipi Criminali dal Professore forlivese, ma romano d’azione, proposta nel Trattato di Antropologia Criminale edito negli Anni Quaranta del secolo scorso.
Tuttavia, il saggio non risolve la cotta del determinismo biologico nell’algida gramaglia di una sempiterna diatriba storica fra sostenitori e detrattori (favorevoli quindi alla sua illusorietà come Padre Agostino Gemelli), bensì ne propone la disamina sotto il fuoco incrociato delle ricerche condotte nel campi delle Neuroscienze e della Genetica Comportamentale come la parte finale dell’elaborato pare mostrare. L’ottavo capitolo, infatti, è dedicato all’esame di differenti casi giudiziari ove il retaggio antropo-criminologico si concettualizza nella valutazione della pericolosità sociale e dell’imputabilità individuale, stuzzicando le celluline grigie dei lettori con inediti assaggi di «Criminogenesi evolutiva».
Il dolce, invece, è servito sul letto percorso dalla ricaduta sociale del comportamento deviante, esemplificata dal crimine d’indole e dal brigantaggio, raccontato, quest’ultimo, tramite pagine della cinematografia italiana quali il Brigante di Tacca del Lupo (Pietro Germi ,1952), trasposizione che seguendo le orme di 1860 (Alessandro Blasetti, 1934) narra della “guerra civile” occorsa nel Meridione all’indomani delle gesta garibaldine.
Concludendo le pagine di Dissertazioni Criminologiche non a caso alla mente si richiama spontanea l’eco delle parole di Walter Benjamin, allorché egli allude al refolo della forza messianica che suole spirare fra le generazioni, sussurrando in una gincana l’importanza della Giustizia Storica. Ebbene, con questo libro, Lusa e Pecora non sono certo venuti meno alla chiamata, ponendo anzi incoraggianti punti di sospensione sul cammino dei futuri Pollicini che interrogandosi, fra corsi e ricorsi, circa il volto notturno dei nostri congeneri rammenteranno, per certo, come il fluire del processo conoscitivo abbia sempre solo ed un’unica fonte: «io so di non sapere».
A cura di Annarita Franza, PhD, Docente di Antropologia e Sociologia, Università di Firenze
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