Di Cristina Casella
Uno dei problemi principali nella concettualizzazione di scena del crimine alterata consiste nell’identificare con accuratezza ciò che ne costituisce parte integrante.
Partiamo innanzitutto da un breve excursus etimologico: il termine “Staging”, participio sostantivato del verbo inglese “to stage”, significa letteralmente “messa in scena” e, nella letteratura criminologica, si riferisce ad una manipolazione volontaria della scena del crimine.
Il fine di ogni camuffamento, nella maggior parte dei casi, è quello di depistare l’investigazione, allontanando le indagini dal possibile sospettato [1] . Diversi gli apporti definitori in materia, da quello più generico di Geberth – il quale definisce la messa in scena come «un atto criminale consapevole volto a contrastare le indagini» – a quello più specifico del Crime Classification Manual, che inquadra lo Staging come «volontarietà di un soggetto nell’alterare la scena del crimine prima dell’arrivo della polizia. Due le ragioni che portano alla manipolazione: il tentativo di sviare gli investigatori dall’individuo sul quale si riversano i sospetti oppure l’intento di proteggere la vittima o la sua famiglia» (2006).
Nonostante la correttezza di entrambe le definizioni, gli autori ritengono che non siano sufficientemente esaustive per poter classificare tutte le potenziali tipologie di messa in scena. Difatti, i comportamenti dell’offender – combinati a diverse basi motivazionali – consentono di collocare l’autore del reato in due differenti categorie, denominate rispettivamente Staging primario e Staging secondario. Ne esiste anche una terza supplementare, il cosiddetto Staging terziario, che definisce una modificazione della scena del crimine operata da un soggetto diverso dal reo, priva di scopi depistanti.
Analizziamo singolarmente queste tre classificazioni:
- Messa in scena primaria: comportamento intenzionale e risoluto dell’offender volto ad alterare e/o modificare prove fisiche o altri aspetti della scena del crimine. L’obiettivo, in questo caso, è quello di sviare un’indagine dalle reali circostanze del reato.
- Messa in scena secondaria: vasta gamma di comportamenti agiti dall’offender, dal Posing (riposizionamento del cadavere in maniera sessualmente provocante o imbarazzante) all’Undoing (copertura del volto della vittima).
- Messa in scena terziaria: insieme di azioni agite dai familiari delle vittime. La maggior parte dei casi riguarda morti avvenute in situazioni imbarazzanti o degradanti, di conseguenza chi si ritrova nel contesto post omicidiario tenta di porre rimedio acquisendo condotte di manipolazione volte a dare dignità alla persona defunta.
La modifica e/o l’aggiunta di elementi sulla scena del crimine da parte di familiari o persone vicine alla vittima, non ha alcun valore probatorio e comportamentale, né tantomeno l’obiettivo di fuorviare le indagini. È per questo motivo che si parla di “artefatti” o di “Protective staging”, definendo un cambiamento della scena del crimine operato da una persona diversa dal reo, senza specifici scopi criminali e/o fini di depistaggio. Per concludere, risulta essenziale riconoscere questo tipo di messa in scena, scoprendo la vera natura del crimine e guidando l’inchiesta nella giusta direzione.
[1] Questa convinzione è molto comune anche tra i non addetti ai lavori.
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