
Di Giuliana Monti
Come alcuni di voi sapranno, negli Stati Uniti per indicare i cadaveri non identificati si usano i seguenti termini: John Doe per gli uomini, Jane Doe per le donne. Premesso che di John e Jane Doe ce ne sono migliaia e che non esistono vicende più importanti di altre, in questo caso ho scelto di condividere con voi la storia di una Jane Doe che, per una serie di motivi sia personali che scientifici, suscita in me una tenerezza e un dispiacere enormi.
Se si potesse attraversare un varco spazio-temporale, vorrei allungare le braccia attraverso lo schermo e abbracciarla. Non riesco a razionalizzare questa emozione, è un a reazione di pancia: forse perché ho amato (artisticamente parlando) “Il Profumo” di Patrick Süskind o forse perché era così bella e fragile. Scientificamente, perché è stata la prima “Jane Doe” ad essere stata identificata a 36 anni dal suo decesso tramite l’analisi del DNA e la genealogia forense applicate alla dottrina penale.
Il 24 Aprile 1981 a Troy, Contea di Miami in Ohio, due operai rinvennero il corpo di una giovane donna dai capelli rossi (definiti biondo-fragola) ai margini di una strada interstatale. L’esame autoptico evidenziò traumi contusivi alla testa e al collo, importanti lacerazioni al fegato e infine strangolamento. Era completamente vestita fatta eccezione per i piedi che erano nudi ma non sporchi, particolare che fece supporre agli inquirenti che il luogo del ritrovamento non coincidesse con quello del delitto, e indossava un caratteristico poncho scamosciato (da cui il soprannome Buckskin Girl). Venne riscontrato un alto livello di igiene personale a testimonianza del fatto che non vivesse per strada, i denti erano curati e non aveva subito violenza sessuale. Non solo. Non fu rilevata alcuna attività sessuale recente, ragion per cui non poteva essere una prostituta.
Nonostante gli sforzi profusi dagli investigatori e un disegno composito del volto della giovane che venne largamente diffuso, il caso divenne in breve un cold case. Pertanto vennero archiviate sia le sue impronte digitali che quelle dentali ed un campione del suo sangue venne conservato. La Buckskin Girl venne seppellita a Troy (luogo del ritrovamento), non prima però di celebrare una cerimonia funebre alla quale prese parte una grossa fetta della comunità locale. Nel 1985 la donna venne collegata ai Redhead Murders, una serie di omicidi che ebbero luogo tra il 1985 e il 2004 perpetrati ai danni di circa 10 donne dai capelli rossi per mano di un serial killer mai identificato, che uccideva le sue vittime per mezzo di randellate e/o strangolamento. Inoltre, una caratteristica che accumunava gli omicidi era quella che da ogni scena del crimine mancavano dei capi di abbigliamento o dei gioielli (la ragazza ritrovate sulla strada non aveva le scarpe). Tale associazione venne in seguito smentita, in quanto le vittime risultavano essere tutte delle prostitute.
Fortunatamente l’America non è solo la patria dei peggiori assassini della storia, non è solo appannaggio del più becero consumismo e dell’arte dell’apparire, è anche la nazione di medici, professionisti e genetisti eccelsi oltre ad essere dotata di una tecnologia avanguardistica sotto molti aspetti. Per questo motivo, nel 2016 venne condotto un esame isotopico sui capelli e le unghie della “ragazza pelle di daino”. Tale test tiene conto dei “rapporti isotopici stabili” ed è utilizzato anche per ricostruire temperature atmosferiche storiche, ma in questo caso vennero calcolati gli isotopi dell’aria quali azoto, carbonio, ossigeno e zolfo in modo da poter circoscrivere aree geografiche precise. Si comprese così che la ragazza trascorse circa 4 mesi in aree sudoccidentali e sudorientali degli USA prima della sua morte. Tuttavia, l’esame stabilì che era originaria degli Stati Uniti nordorientali o del Canada poiché aveva trascorso una notevole quantità di tempo in queste aree l’anno precedente al suo omicidio.
Successivamente venne estratto un campione di DNA dal sangue prelevatole nel 1981: il risultato di tale operazione fu inviato all’FBI che lo aggiunse al database in uso alle forze dell’ordine su scala nazionale, noto come National Missing and Unidentified Persons System (NamUs). In seguito ad ulteriori esami venne estratto il suo DNA mitocondriale: quella “parte” di cellule e genomi del DNA che si eredita dalla madre, detto anche DNA uniparentale che si trova nella maggior parte degli animali. Il responso venne incluso nel Combined DNA Index System (CODIS) e nell’aprile del 2016, grazie ai preziosissimi test svolti dagli esperti e al progresso tecnologico, il National Center for Missing & Exploited Children (NCMEC) fu in grado di presentare al pubblico una ricostruzione facciale accurata, la quale venne ampiamente distribuita online ma purtroppo senza alcun esito. Sempre nel 2016 si decise di utilizzare la Palinologia forense, scienza che si occupa dello studio del polline e delle spore, sui vestiti della vittima che confermò quanto ipotizzato in precedenza ovvero che la donna senza nome era nata o aveva vissuto molto tempo in America nordorientale, escludendo il Canada. Inoltre, furono rilevati alti livelli di fuliggine derivata dal traffico veicolare stimando fosse un’autostoppista abituale. La svolta arrivò il 9 Aprile 2018 quando l’associazione DNA Doe Project, fondata nel 2017 da Colleen Fitzpatrick con il fine di soddisfare le richieste di comparazione di DNA (supportate da requisiti specifici) tra le vittime non identificate e i presunti parenti delle stesse al fine di ottenere un riconoscimento certo, mise a confronto il DNA del soggetto ignoto con quello di un suo potenziale cugino di primo grado. Ci fu un riscontro positivo: la donna altri non era che Marcia Lenore Sossoman (King) nata in Arkansas il 9 Giugno 1959 e scomparsa nel 1980.
Nel febbraio del 2020 lo sceriffo della Contea ha annunciato di aver ricostruito con certezza i luoghi e le persone frequentate da Marcia nelle due settimane antecedenti la sua morte e che dei professionisti del settore cercheranno di estrarre DNA nucleare da alcuni capelli privi di radice ritrovati sulla scena del crimine al fine di poter dare un volto al suo assassino. Recentemente una giornalista, appassionata al caso e residente proprio a Troy, ha ipotizzato che Marcia possa essere una delle vittime di Samuel Little, spietato serial killer americano che sostiene di aver mietuto 93 vittime, 50 delle quali accertate.
La famiglia di Marcia non ne denunciò mai ufficialmente la scomparsa. In qualità di figlia, amica, sorella e potenziale genitore, mi chiedo quali e quanti precedenti allontanamenti volontari possa avere alle spalle una ragazza di 21 anni, tali da spingere un’intera famiglia a dormire sonni tranquilli accontentandosi di pensarla sana, viva e in giro per il mondo. Non ci è dato sapere, poiché la sua famiglia (chi ne rimane) non ha mai voluto rilasciare nessun comunicato stampa né ha mai fatto trasportare il suo corpo altrove.
Tengo a precisare che la giovane Marcia è stata la prima, ma che in seguito altre Jane Doe sono state identificate portando in alcuni casi all’arresto, anche se tardivo, dei responsabili. Per citarne solo alcune: Dana Point Jane Doe – Holly Jo Glynn, morta suicida dopo essersi gettata da una scogliera il 29 Settembre 1987 e identificata nel 2015 grazie a portali di dominio pubblico come GEDmatch o Family Tree DNA, simili al nostro LABANOF; Sherry Doe – Reet Jurveston, una ragazza di origine estone che venne massacrata con 150 coltellate nel 1969 nei pressi di Mulholland Drive, identificata nel 2015 dopo 46 anni; Precious Jane Doe – Elizabeth Ann Roberts, diciassettenne uccisa tramite strangolamento nel 1977 e identificata dopo 43 anni tramite l’analisi del capello (per il suo omicidio venne incriminato David Marvin Roth). Così come tanti altri, uomini e donne che, se purtroppo non avranno giustizia, avranno almeno un nome.
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