
Di Martina Barberi
Il Principio dell’Interscambio di Edmond Locard stabilisce che, quando si entra in contatto con qualcuno o qualcosa, avviene uno “scambio” di tracce: il colpevole lascia una traccia di sé sul luogo del delitto e porta via con sé un’altra traccia. Le tracce presenti nel luogo del misfatto sono fonti di prova utili finalizzate alla ricostruzione delle dinamiche di un evento delittuoso e contengono informazioni per risalire all’identità di chi ha commesso il crimine.
Tali tracce risultano sensibili alle alterazioni, contaminazioni esterne e condizioni climatiche. Molte di esse sono invisibili ad occhio nudo, pertanto vengono denominate tracce latenti, ad esempio le impronte che, allo stesso modo del DNA, assumono un ruolo importante nella procedura di identificazione personale. Come pronunciato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 2559 del 14 Novembre 1959, la procedura d’indagine conferma l’attendibilità, solo se si evince la presenza di 16–17 minuzie. A tal proposito, va specificato che il numero delle minuzie richieste varia in altri Paesi europei.
Lo studio delle impronte ha fondamenta antiche, ma le applicazioni vere e proprie risalgono a tempi più recenti. Un importante riconoscimento si deve a Marcello Malpighi per i suoi studi sulle impronte, a Salvatore Ottolenghi fondatore della Scuola di Polizia Scientifica e a Giovanni Gasti per aver proposto il Sistema di Identificazione delle Impronte.
I costituenti della cute sono l’epidermide e il derma, separati dalla membrana basale, a sua volta costituita dalla lamina basale. Il derma si trova tra epidermide ed ipoderma e si divide in due strati: strato papillare (contenente le papille dermiche) e strato reticolare. Invece, l’epidermide è costituita da cellule epiteliali e dai seguenti strati: strato basale, spinoso, granuloso, corneo.
L’insieme dei solchi e delle creste presenti sui polpastrelli delle dita, che si sviluppano durante la crescita fetale, formano i dermatoglifi. Le impronte sono uniche per ciascun individuo e rimangono immutate per tutta la durata della vita. Le creste papillari sono oggetto di studio della Dattiloscopia, ambito della Criminalistica diretto ad identificare un individuo analizzando le impronte digitali, ovviamente rispettando le finalità giudiziarie.
Nel momento in cui i polpastrelli entrano in contatto con un oggetto (ad es. oggetto presente sul luogo del delitto), su di esso rimane l’impronta originata dai dermatoglifi, in seguito al rilascio di piccole gocce di sudore che fuoriescono dai pori situati sulle creste. L’esaltazione delle impronte latenti è un’attività eseguita dalla Polizia Scientifica, utilizzando particolari metodi ottici e chimico-fisici: luce a raggi UV, laser, Scenescope, lampada mini – Crimescope ad alta intensità, utilizzo di composti fluorescenti e le polveri. Queste ultime rappresentano un metodo di comune utilizzo ma di efficacia garantita. L’attività di documentazione è un atto irripetibile, cioè non ammette ripetizioni, che comprende i rilievi fotografici da effettuare dopo aver esaltato le impronte.
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