Di Cristina Casella
Come si può individuare un’attività di messa in scena?
Non è sempre facile. Innanzitutto partiamo dal presupposto che non esistono delitti perfetti.
Organizzare una scena del crimine coerente in tutti i suoi aspetti non è semplice, fortunatamente. È molto probabile che l’offender commetta degli errori durante la simulazione di un determinato reato, questo perché ogni pezzo della scena si compone in base ad un’idea concepita in precedenza nella sua mente. Compiere atti di manipolazione, tra l’altro, sottopone il soggetto ad uno stress tale da non consentirgli di sistemare in maniera logica la sequenzialità degli eventi. Senza dimenticare che è possibile lasciare tracce di sé sul luogo del delitto. E questo la cronaca ce lo insegna quotidianamente.
Il risultato di una scena camuffata, pertanto, non può esimersi da un quadro complessivo ricco di incongruenze. Queste ultime vengono paragonate a delle “bandierine rosse” (in gergo note come “red flags”), degli avvertimenti – in sostanza – che intimano a chi osserva di prestare attenzione. Una sorta di monito allarmante. Risulterà essenziale, dunque, scandagliare singolarmente tutti gli indicatori indice di discrepanza. Infine, una volta contestualizzati, si potrà procedere alla ricostruzione effettiva dell’evento criminoso, accertando o escludendo la messa in scena.
Chisum e Turvey (2007), in proposito, suggeriscono un quadro esaustivo degli elementi da vagliare con scrupolo, ovvero:
Punti di entrata/Punti di uscita
Gli elementi della scena del crimine manomessi con più frequenza sono le finestre, generalmente aperte e/o rotte. La mente dell’offender, infatti, cerca di creare l’illusione di un atto irruento, portando l’attenzione di chi osserva proprio su una precisa via d’accesso. Analizzare tutti i punti di entrata e di fuga (porte, finestre, strade, percorsi, etc.), verificandone l’accessibilità al momento del reato, è un’azione imprescindibile.
Presenza di armi sulla scena/Rimozione di armi dalla scena
Ogni arma ritrovata sulla scena del crimine deve alimentare una serie di interrogativi: l’arma trovata assieme alla vittima è quella che ne ha causato le lesioni? Contrariamente, perché era presente sulla scena? Vi erano altre armi sul luogo? Se sì, avevano uno scopo specifico?
A volte vi è la prova dell’uso di armi sulla scena del delitto, ma in numerosi contesti non vengono ritrovate. Bisogna domandarsi, dunque, se sia possibile dimostrarne la rimozione e, in caso affermativo, capire perché siano state fatte sparire.
Movimento e localizzazione del corpo
Tipicamente, il luogo dove viene allestita la messa in scena, coincide con quello dove si trova il corpo. Questo può legarsi all’impossibilità di spostare il corpo o all’incapacità di ripulire la scena prima che esso venga scoperto. Per confermare queste ipotesi, è necessario esaminare le circostanze e le condizioni che meglio affrontano la questione, o meglio:
- Evidenza di segni e macchie da trascinamento, per terra o contro superfici ambientali
- Abbigliamento concentrato e/o arrotolato attorno al corpo della vittima
- Livor e rigor mortis in contrasto con la posizione di riposo finale del corpo
- Tracce di sangue in posti dove non dovrebbe esserne rilevata la presenza
- Evidenti tracce sul corpo riconducibili a luoghi in completo contrasto con la scena del crimine
È bene che ogni circostanza venga esplorata a fondo: ad esempio, perché inscenare un tentativo di rapina finito male senza portar via dal luogo del delitto alcun oggetto di valore? Questo scenario è molto ricorrente negli omicidi intrafamiliari, ove in genere l’assassino è il partner. Allestire una rapina con esito fatale all’interno di un abitazione è il tipo di soluzione che l’offender sembra prediligere per confondere gli investigatori.
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