Di Angelo Coppola
Mes, Recovery fund e Coronabond. Tre Istituti al centro dell’attenzione mediatica in questi ultimi mesi, nel pieno della pandemia del Covid 19. Risulta utile, in tal senso, un confronto tra i suddetti Istituti, al fine di delinearne tratti caratteristici e differenze.
Il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), è un’organizzazione intergovernativa nata nel 2012 con la finalità di intervenire, attraverso contributi a favore degli Stati aderenti in situazioni di crisi, al fine di evitare il loro default. Il MES è indicato anche con il nome di Fondo Salva Stati. Ha sostituito il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (FESF) e il Meccanismo Europeo di Stabilizzazione Finanziaria (MESF), costituendo, di fatto, il fondo monetario del Vecchio Continente.
Istituito attraverso le modifiche apportate al Trattato di Lisbona e ratificate dal Consiglio dell’Unione Europea, il ricorso al MES, è soggettivo ovvero, a richiesta del singolo Stato dell’eurozona. La sua funzione, è garantire la stabilità finanziaria nell’eurozona. Disciplinato dalla legislazione internazionale, ha sede a Lussemburgo. Trattasi di una società anonima di diritto lussemburghese. Gli Stati membri sovventori, rappresentano i soci della predetta società.
Eroga prestiti agli Stati richiedenti i quali, si impegnano a rispettare rigide regole di condizionalità (cd. sorveglianza rafforzata), come misure per ridurre il deficit/debito, riforme strutturali, ecc., attraverso un memorandum d’intesa (MOU) e sotto il controllo della troika: Banca Centrale Europea, Commissione Europea e Fondo Monetario Internazionale.
Il Recovery Fund, noto anche come Next Generation E.U. (chiamato così dalla U.E.), è un fondo che nasce proprio con il fine precipuo di sostenere gli Stati nell’emergenza Covid 19, attraverso l’erogazione di contributi da investire in settori strategici quali ambiente, territorio, innovazione, formazione, salute. In Italia, esso viene indicato con il seguente acronimo: P.N.R.R. (piano nazionale di resilienza e rilancio).
Gli Stati richiedenti, entro il mese di aprile del 2021, dovranno inviare i piani di ripresa e resilienza che saranno negoziati con la U.E. Detti piani, poi, verranno trasmessi all’Ecofin (Consiglio Economia e Finanza) per l’approvazione finale. Si prevede l’erogazione di un acconto del 10% del contributo totale, nell’attesa della disamina completa dei piani nazionali che dovranno prevedere investimenti nei seguenti settori: ambiente, digitale, produttività, stabilità macroeconomica, sanità, ecc.
Per quanto concerne il Coronabond, è necessario premettere che con il termine bond si indica una obbligazione ovvero una somma richiesta in prestito con il fine di restituire il capitale nella sua interezza, unitamente agli interessi maturati. Parliamo dei titoli di Stato attraverso i quali i singoli Stati si finanziano, raccogliendo danaro da investitori istituzionali (Banche, Fondi Comuni di Investimento, ecc.), da altri Stati, oppure dai cittadini, per erogare risorse ai vari comparti (sanità, istruzione, infrastrutture, pensioni, stipendi ai pubblici dipendenti, ecc.). Infatti, queste misure, di norma, sono attuate attraverso il gettito d’imposta che spesso, da solo, non è in grado di realizzare in pieno detta finalità.
I coronabond, non sono ancora una realtà nell’ambito dell’Unione Europea. Leggendo uno stralcio della lettera dei nove paesi dell’U.E. richiedenti, i coronabond sono “uno strumento di debito comune emesso da un’istituzione europea per raccogliere fondi nel mercato sulla stessa base e a beneficio di tutti gli Stati membri”.
Gli Stati dell’U.E. pagherebbero tutti gli stessi interessi, condividendo il debito pubblico a livello europeo. E’ proprio su questo punto che i Paesi nordici (Germania, Olanda, Austria, ecc.) si oppongono. In tal senso, è stata avanzata anche la proposta di recovery bond, garantiti dal bilancio dell’U.E., che, a differenza dei coronabond, comporterebbero la condivisione dei soli debiti futuri. Il dibattito è aperto.
© Riproduzione riservata
Lascia un commento