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La Depenalizzazione del reato di Ingiuria

7 Ottobre 2020 da Webmaster Lascia un commento

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Di Angelo Coppola

Ingiuria, dal latino iniurius, ingiusto, iniquo. Ab origine, era anche concetto che esprimeva un’offesa di carattere fisico. Infatti, nell’antichità, dinanzi ad una ingiuria perpetrata, scattava la reazione del nucleo familiare al fine di ripristinare la legalità. Con la legge delle XII Tavole, ci sono, invece, pene specifiche per diverse ipotesi di illeciti: lesioni, violenza personale, ecc.

Con l’introduzione dell’actio iniuriarum, il giudice, stabilisce una pena pecuniaria parametrata all’entità dell’offesa. L’ingiuria, nel codice penale, configurava una ipotesi di reato rubricato tra i delitti contro l’onore. Infatti, l’art.594 del codice penale così prescriveva:

Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a euro 1032,00 se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone.


Si trattava di un reato che si configurava nel momento in cui era presente la persona offesa, atto a ledere la sua dignità, ovvero onore e decoro. Parliamo di quella che è la reputazione della persona, la considerazione, la stima e il rispetto da parte della società civile, la sua dignità, la sua sensibilità morale, la stessa considerazione che la persona ha di se stesso (la dignità).

La Carta dei Diritti Fondamentali dell’U.E., approvata dal Parlamento Europeo nel 2000, prescrive che “la dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”. La tutela delle dignità umana viene apprestata anche nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948. La predetta fattispecie delittuosa, si differenziava da altre due figure di reato: la diffamazione e la calunnia. Ai sensi e per gli effetti dell’art. 595 del codice penale, integra il reato di diffamazione:

Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1032,00. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2065,00. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516,00. Se l’offesa è recata a un corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.

L’art. 368 del codice penale punisce, invece:

Chiunque, con denunzia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’autorità giudiziaria o ad un’altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte Penale Internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni. La pena è aumentata se s’incolpa taluno di un reato per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un’altra pena più grave. La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo; e si applica la pena dell’ergastolo, se dal fatto deriva una condanna alla pena di morte.


In sostanza, la differenza tra le tre ipotesi delittuose consiste per l’ingiuria nella presenza dell’offeso, assente, invece, nella diffamazione. La calunnia, è fattispecie più grave in quanto, si incolpa qualcuno di un reato con un atto formale (querela, esposto, ecc.), pur sapendolo innocente, esponendolo al pericolo di una condanna penale. Quando parliamo di ingiuria, facciamo riferimento al passato in quanto, a seguito dell’articolo 4 del D.lgs n.7 del 15 gennaio 2016, detta fattispecie è stata depenalizzata. Questo sta a significare che in caso di ingiurie, non ci saranno più sanzioni penali ma, ci si dovrà
rivolgere ad un giudice civile al fine di ottenere un ristoro dal responsabile.

A tal uopo, la Sentenza della Corte Costituzionale 23 gennaio / 6 marzo 2019, statuisce sul punto:

Dal riconoscimento di un diritto come fondamentale non discende necessariamente e automaticamente l’obbligo per l’ordinamento di assicurarne la tutela mediante sanzioni penali: tanto la Costituzione quanto il diritto internazionale dei diritti umani lasciano, di regola, il legislatore e più in particolare il Parlamento, naturale depositario delle scelte in materia penale in una società democratica, libero di valutare se sia necessario apprestare tutela penale a un determinato diritto fondamentale, o se – invece – il doveroso obiettivo di proteggere il diritto stesso dalle aggressioni provenienti dai terzi, possa essere efficacemente assicurato mediante strumenti alternativi, e a loro volta meno incidenti sui diritti fondamentali del trasgressore, nella logica di ultima ratio della tutela penale che ispira gli ordinamenti contemporanei. Ciò accade, segnatamente, in relazione al diritto all’onore: diritto fondamentale rispetto al quale non sono ravvisabili obblighi di incriminazione, di origine costituzionale o sovranazionale, che limitino la discrezionalità del legislatore nella determinazione delle modalità della sua tutela. Quest’ultima, pertanto, ben potrà restare affidata – oltre che ai tradizionali rimedi aquiliani – a sanzioni pecuniarie di carattere civile, come quelle apprestate dal D.Lgs n.7 del 2016 sulla base di scelte non censurabili da parte di questa corte.


Infatti, in tal senso, l‘articolo 1 del succitato D.Lgs n.7 del 2016, abroga l’articolo 594 del codice penale prescrivendo un illecito civile sottoposto a sanzione pecuniaria civile dinanzi ad un fatto doloso. Infatti, l’articolo 4 del D.Lgs n.7 del 2016 stabilisce che:

Soggiace alla sanzione pecuniaria civile da euro 100 a euro 8000 chi offende l’onore o il decoro di una persona presente, ovvero mediante comunicazione telegrafica, telefonica, informatica o telematica o con scritti o disegni diretti alla persona offesa.

La sanzione pecuniaria civile trova applicazione anche nel caso in cui l’offesa consista nell’attribuzione di un fatto determinato, o sia commessa in presenza di più persone. Il giudice civile, quindi, decide nel merito della controversia sia per il risarcimento che per la sanzione pecuniaria. In tema di ingiurie e diffamazioni, il codice penale e di procedura penale, prescrivono un istituto “ad hoc” ovvero, il giurì d’onore (corpo di cittadini che giurano e compongono un organo chiamato
a giudicare). Esso si compone di un giudice oppure di un numero dispari di giudici. L’accettazione dei giudici deve risultare da atto scritto.

Su richiesta delle parti interessate, la nomina,può essere fatta dal Presidente del Tribunale. Decide sull’accertamento del danno e quantifica in via equitativa. Il verdetto va pronunciato entro 3 mesi. Il Presidente del Tribunale, per gravi motivi, può prorogare il termine di altri 3 mesi. Quando lo ritiene necessario, può sentire testimoni di sua iniziativa. Può chiedere documenti e informazioni alle pubbliche amministrazioni salvo, ostino ragioni di servizio. Le sedute non sono pubbliche e sussiste l’obbligo del segreto per tutto ciò che concerne gli atti compiuti, salvo per il verdetto. Si tratta di un istituto poco conosciuto ed utilizzato che, potrebbe rappresentare, un supporto atto a deflazionare il carico di lavoro dei tribunali.

© Riproduzione riservata

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