
Di Paolino Francesco Santaniello
L’art. 133 del Codice Penale, che stabilisce le linee guida al potere discrezionale del giudice, dispone che, ai fini della determinazione di una pena congrua, bisogna analizzare il fatto costituente reato alla luce dei suoi elementi oggettivi (gravità del danno/pericolo, modalità e mezzi dell’azione) e soggettivi, quali l’intensità del dolo o il grado della colpa, i quali non sono specificati né dall’articolo 43, che disciplina l’elemento soggettivo, né da altre norme.
Partendo dal presupposto che la legge non può prevedere ogni aspetto psicologico della volontà umana, la giurisprudenza ha dovuto farsi carico di colmare questa lacuna al fine di guidare il giudice nella delicata opera di stabilire una pena, che sia giusta e adeguata al caso concreto secondo i canoni degli artt. 133 c. p. e 27 della Costituzione. Nel tempo si è così assistito ad un susseguirsi di analisi (dottrinali e giurisprudenziali) delle varie figure di dolo, che hanno sempre tenuto conto dello scopo dell’azione, dell’intensità della previsione e della volizione da parte del soggetto agente. Tuttavia quest’operazione interpretativa è risultata piuttosto ardua, specie nell’analisi di quei fatti concreti in cui l’interprete è chiamato a stabilire se un soggetto sia punibile a titolo di dolo eventuale e colpa cosciente, figure diverse ma con più di un profilo di contatto.
La Colpa cosciente, prevista dall’art. 62 n.3 c.p. (aggravanti comuni del reato, detta colpa con previsione), si configura quando l’agente, per negligenza o imperizia, non osserva determinate regole cautelari o regolamentari volte a tutelare un bene giuridico e, nonostante preveda la possibilità che dalla propria condotta possa derivare un’offesa ad un determinato bene giuridico, non desiste dall’azione in quanto confida (negligentemente) che il rischio non si realizzerà. Il Dolo eventuale è, invece, l’atteggiamento psicologico dell’agente, che tiene volontariamente una condotta dalla quale scaturisce un rischio per un determinato bene giuridico ma che, nonostante la previsione di tale pericolo, non desiste dall’azione accettando che esso possa concretizzarsi nell’offesa.
Nel tempo sono state elaborate varie teorie allo scopo di differenziare tali categorie. Un primo filone è costituito dalle teorie cd. Intellettualistiche, secondo le quali bisogna ricercare il discrimine tra i due status nel momento “predittivo” dell’iter criminis. Secondo alcuni, il dolo eventuale consiste nell’accettazione di un rischio probabile, mentre la colpa cosciente nell’accettazione di un rischio solo possibile; esse però eclissano l’importanza dell’adesione volontaristica a tale rischio.
Altro orientamento circa il dolo eventuale, parte dal dato concreto e dal “bagaglio culturale” dell’agente, il quale prevede che il rischio possa realizzarsi concretamente, mentre nella colpa cosciente solo astrattamente. Altri ancora, affermano che l’agente che versa nello stato di colpa cosciente, a seguito della previsione, si adopera ad adottare misure astrattamente idonee a prevenire il rischio, mentre nel dolo eventuale l’agente è impassibile dinanzi ad esso, in modo volontario senza desistere dall’azione. Il problema di tutte queste teorie è che ricercano il punto di differenza nella psiche dell’agente e su un piano puramente teorico, quando è ben noto che ogni analisi non deve mai prescindere dal fatto concreto e dal suo decorso causale.
Le teorie Volontaristiche, invece, ravvisano come limite tra le due categorie la volontà del soggetto, rimettendo al giudice di analizzare il fatto concreto al fine di trovare indici da cui desumere la reale volizione dell’agente.
Le teorie Miste creano, d’altro canto, una sintesi del dato predittivo e volontaristico dell’iter criminis, nonché tra gli orientamenti sopracitati, affermando che il “velo” che separa il dolo eventuale e la colpa cosciente sia la cd. “accettazione del rischio”.
Tra le numerose sentenze che hanno toccato l’argomento, la più significativa è sicuramente quella relativa alla tragedia della Thyssenkroup, pronunciata dalla Cassazione a Sezioni Unite n. 38343/2014. Si fa presente che la sentenza in questione analizza tantissimi istituti del diritto penale, elevandosi quasi ad una monografia della materia, tuttavia generando numerosi dibattiti in materia di dolo eventuale. Si riporta una massima della sentenza citata:
In tema di elemento soggettivo del reato, il dolo eventuale ricorre quando l’agente si sia chiaramente rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell’evento concreto e ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l’evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi; ricorre invece la colpa cosciente quando la volontà dell’agente non è diretta verso l’evento ed egli, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l’evento illecito, si astiene dall’agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo.
In tale decisione, le Sezioni Unite si distaccano da quelle teorie che davano maggior rilievo al dato predittivo, prediligendo quello volontaristico. In primo luogo, per i supremi giudici, le due figure si differenziano sul piano rappresentativo del fatto nella mente dell’agente, che nel dolo eventuale prevede in modo chiaro e concreto (ovvero probabile) che l’evento accessorio causato dalla condotta possa verificarsi, mentre nella colpa cosciente tale previsione è più astratta e fumosa.
Riguardo al dolo eventuale, l’agente aderisce volontariamente all’evento previsto pur di perseverare nella condotta, facendo una sorta di bilanciamento tra lo scopo perseguito e l’eventus damni (si comprende che a base di questa costruzione la Corte aderisce alla prima formula di Frank). Quindi l’agente agisce volontariamente in contrasto con la condotta che avrebbe dovuto tenere, alla luce di un giudizio controfattuale del caso concreto.
Nella colpa cosciente, l’agente non vuole l’evento e confida negligentemente che non si verificherà, nonostante preveda che esso possa conseguire alla propria condotta, la quale viola le norme cautelari (quindi lontana dai canoni di condotta che dovrebbe tenere, in virtù delle norme cautelari che regolano il caso).
Sul piano probatorio, al fine di comprendere la reale volontà che spinge il suo agire, la Corte afferma che gli indici del dolo eventuale e della colpa cosciente vanno ricercati nel comportamento concretamente tenuto dall’agente, sia precedentemente al fatto che dopo, il tutto coordinato con la storia personale dell’agente. Altro indicatore è il contesto lecito o illecito in cui l’azione dell’agente si compie. Infatti, se l’azione si compie in un contesto di per sé illecito, tanto più si dovrà presumere che l’agente sia mosso da una volontà dolosa. Altro parametro imprescindibile è la durata della condotta.
Numerose critiche sono state mosse a questa sentenza, che pure ha il merito di spingere ad analizzare il fatto sotto ogni angolazione (tempi, contesti, cultura dell’agente).
Se il dolo eventuale si configura in una volontaria e piena adesione all’evento (e non al rischio), chiaramente previsto in termini probabilistici, sarà sempre più arduo contestarlo, dato che i suoi confini vengono estesi in una zona grigia ai limiti del dolo diretto.
La conseguenza pratica di quanto sopra esposto si traduce nella possibilità di una punizione più severa per il soggetto agente, anche se sarebbe ingiusto, ex art. 133 c.p., riservare a chi ha agito con dolo eventuale la stessa pena per chi invece ha intenzionalmente perseguito la realizzazione dell’evento illecito (dolo diretto).
Appare allora giustificata l’adesione della giurisprudenza alla Teoria dell’Accettazione del rischio, secondo Cass. n. 30425 del 3/8/2001; Cass. n. 44712, sez. V 1/12/2008; Cass. sez. IV 26/3/2009, in materia di contagio da HIV; Cass. n. 12433 Sezioni Unite 30/3/2012, in materia di dolo eventuale e ricettazione.
Tirando le fila: il dolo eventuale si configura quando un soggetto tiene volontariamente una condotta (cd. Primaria) per conseguire un determinato fine, dalla quale scaturisce causalmente un rischio, cioè la probabilità che un evento accessorio e lesivo per un bene giuridico si realizzi (previsto come reato). Tale rischio è prevedibile ed è previsto dall’agente, il quale vuole che esso persista (con atteggiamento di indifferenza sul fatto che esso poi si realizzi o meno). In tale figura, si pone su un piano primario la scelta del soggetto di prosecuzione della propria condotta.
Nella colpa cosciente, invece, l’agente pone in essere una condotta primaria con atteggiamento negligente o in violazione di norme cautelari, dalla quale deriva il rischio che si realizzi un evento lesivo.
Tale rischio è previsto dall’agente, il quale lo respinge in quanto non valuta adeguatamente la portata lesiva della sua condotta, dato il suo atteggiamento negligente verso il rischio e verso il bene giuridico oggetto della norma cautelare. Il soggetto, sulla base di questa negligenza, pur agendo nella convinzione che l’evento non si realizzerà (per sua abilità, per improbabilità, per erronee valutazioni di fatto), persiste alla fine pur sempre volontariamente nella condotta contraria al cd. “agente modello”.
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