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L’Elemento Soggettivo del Reato: il Dolo

26 Settembre 2016 da Webmaster Lascia un commento

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Di Paolino Francesco Santaniello

La dottrina penale italiana ha elaborato il concetto di tripartizione del reato, secondo cui quest’ultimo per essere punibile deve essere: tipico, antigiuridico e colpevole.

Per tipicità si intende che il fatto concretamente manifestatosi nella realtà deve corrispondere alla fattispecie astratta delineata dal legislatore, affinché sia giuridicamente rilevante.

Per antigiuridicità si intende che il fatto giuridicamente rilevante debba essere contra ius, ovvero che non sussistano cause di giustificazione alla sua commissione (es. legittima difesa ex art. 52 c.p.)

La colpevolezza è la categoria con cui si classifica l’atteggiamento soggettivo dell’agente, in quanto, ex art. 42 c.p., “Nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà”.

Si può affermare che non basta la mera commissione di un reato, bensì è necessario che l’agente sia mosso da una volontà che vada in contrasto con l’ordinamento penale, ovvero sia lesiva (o pericolosa) per un bene giuridico tutelato dalla legge.

Il reato quindi, per essere punibile, deve essere sorretto da un atteggiamento psicologico ex art. 43, ovvero doloso, colposo o pretereintenzionale.

La colpa e la pretereintezione sono concetti normativi (creati dal legislatore), per cui è la legge che  espressamente deve prevedere che un reato possa essere punito a titolo di colpa o pretereintenzione, altrimenti si intende doloso (art. 42, comma 2 c.p.)

Il dolo è la forma di colpevolezza più grave, in quanto consiste nella previsione e volontà del fatto tipico ed antigiuridico. Il soggetto agente, infatti, deve prevedere sia gli elementi cosiddetti “naturalistici” del reato, quali tempo, luogo e modi dell’azione, condotta, soggetto passivo, oggetto materiale, ecc., sia gli “elementi negativi del fatto”, cioè l’agente deve essere consapevole di agire in assenza di cause di giustificazione [1] ( giuridiche) al suo comportamento.

Suddetta definizione non è sufficiente a dare una panoramica completa del concetto di dolo, dato che esso ha molte sfaccettature, come si evince dall’articolo 133 del c.p.

Secondo il suddetto articolo, ai fini di determinare una pena congrua ex art. 27 della Costituzione, il giudice deve valutare l’intero fatto tipico concretamente manifestatosi ed indagare sull’intensità della volontà dolosa che ha spinto l’agente a commettere il reato. Purtroppo, il giudice non è dotato di capacità che gli consentano di leggere nella mente e nell’anima di un soggetto, per cui la giurisprudenza ha creato altre categorie di dolo  (a causa del vuoto normativo, in quanto il codice non specifica le tipologie di dolo) affinché il giudice possa classificare (e comprendere ) meglio il comportamento dell’agente.

La comprensione del comportamento del soggetto è fondamentale per valutarne la colpevolezza ai fini di una pena giusta ex 133 c.p. (ovvero congrua al fatto)  affinché essa possa svolgere la sua funzione rieducativa.

Circa la natura dell’offesa il dolo può essere:

  1. Dolo di danno: l’agente vuole l’effettiva lesione del bene;
  2. Dolo di pericolo: l’agente con la sua condotta vuole effettivamente mettere in pericolo di lesione il bene giuridico tutelato;

Riguardo al tempo dell’azione il dolo può essere:

  • Dolo iniziale: la volontà di reato anima il soggetto solo nel momento in cui compie l’azione o l’omissione (tanto è vero che vi può essere il cd. “Recesso attivo” o la desistenza volontaria );
  • Dolo concomitante: la volontà dolosa è presente per tutto lo svolgimento dell’iter criminis;
  • Dolo successivo: volontà “cattiva” che si concretizza dopo aver compiuto il fatto o l’omissione (es. medico che sbaglia una trasfusione, se ne accorge, ma volontariamente non si adopera per rimediare).

Il Dolo investe anche lo scopo dell’azione, infatti (secondo la prima formula di Frank) l’agire umano persegue sempre uno scopo:

  • Dolo generico: l’agente non si prefigura nessuno scopo ulteriore che possa scaturire dal fatto di reato. Praticamente, nel linguaggio codicistico, sono reati a dolo generico tutti quei reati in cui manca la locuzione “al fine di”, nei quali il legislatore punisce al solo verificarsi dell’evento cagionato dalla propria condotta volontaria (es. omicidio art. 575 c.p. “chiunque cagiona la morte di un uomo è punito…”)
  • Dolo specifico: in questo caso il legislatore esige per la punibilità che il soggetto compia l’azione per perseguire uno scopo tipizzato (es. rapina 628 c.p., oppure tutte le volte in cui è scritto “al fine di, allo scopo di, per procurare a se o ad altri”).

Pensando al reato come ad un disegno, si può dire che dolo generico e specifico costituiscano i bordi a matita del disegno stesso, il quale viene colorato con varie sfumature che, nel nostro esempio, sono le categorie di dolo che classificano il tempo, l’intensità della volizione ed il grado della previsione. Il tutto per una migliore comprensione del reato sia sul fronte oggettivo (evento, danno, pericolo ) sia sul fronte soggettivo (colpevolezza dell’agente e natura della condotta)

Quest’ultime categorie non sono necessarie per la sussistenza del reato, ma servono a classificare il fatto realmente accaduto al fine di irrogare una sanzione proporzionale al responsabile (ex art. 133)

Con riguardo al grado della previsione il dolo può essere:

  • Dolo d’impeto: l’azione è repentina, ovvero tra la previsione del fatto e l’azione del soggetto trascorre un lasso di tempo così breve che induce a pensare che questi abbia agito sotto una spinta emotiva che gli ha fatto perdere qualsiasi freno inibitorio (es. ha subito una provocazione);
  • Dolo di proposito: tra la previsione e l’azione intercorre un lasso di tempo apprezzabile che induce a pensare che il soggetto abbia maturato la sua voluntas sceleris senza voler desistere dal proposito criminoso;
  • Dolo di premeditazione: tra l’ideazione e il fatto concretamente posto in essere intercorre un lasso di tempo molto ampio, durante il quale il soggetto ha superato qualsiasi spinta emotiva che lo portasse a desistere dall’azione, con una conseguente maturazione della volontà a delinquere (la premeditazione è aggravante speciale dell’omicidio, tanto che la pena dalla reclusione muta ad ergastolo, dato l’enorme disvalore giuridico del fatto).

Infine abbiamo la classificazione del dolo, secondo l’intensità della volizione:

  • Dolo intenzionale: la volontà persegue direttamente l’evento del reato;
  • Dolo diretto: l’agente vuole l’evento perché è sicuro che da esso scaturisca una determinata conseguenza prevista, vera ragione dell’azione;
  • Dolo eventuale: l’agente pone in essere una determinata condotta, prevedendo che da essa possa scaturire una lesione ad un bene giuridico. Nonostante suddetto rischio, il soggetto non desiste dall’azione, accettando che esso (il rischio) possa verificarsi, o che perduri durante la sua condotta.

[1] F. Mantovani, Diritto Penale parte generale, Edizione IX, p.310,WoltersKluwer, Cedam, 2015.

© Riproduzione riservata

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