Di Cristina Casella
La condotta di abusante può trovare spiegazione nelle relazioni traumatiche sostenute con il mondo adulto. Il comportamento deviante, infatti, è rintracciabile in vecchi traumi non riconosciuti come tali dalla vittima. I traumi possono bloccare ed ostacolare un corretto sviluppo della personalità, facendo irruzione improvvisamente nella vita adulta e relegando il comportamento sessuale all’interno di schemi infantili.
La donna abusante, quindi, è colei che non ha ricevuto abbastanza protezione durante la sua infanzia e che, attraverso meccanismi di ripetizione e di identificazione con l’aggressore, tende a infliggere le stesse sevizie a cui è stata sottoposta. Scavando nel passato di queste donne, madri e non, emergono quasi sempre storie di maltrattamenti, umiliazioni e violenze sessuali.
Recenti studi hanno dimostrato che il processo di identificazione con l’aggressore non è un semplice meccanismo di difesa attuato dalla vittima d’abuso, ma è supportato dalla presenza dei cosiddetti “neuroni a specchio”. Infatti, i circuiti neuronali attivi nel soggetto che compie un’azione, sono gli stessi che – automaticamente – si attivano nel soggetto osservante.
Da qui nasce la teoria dell’“abusatore abusato”, secondo cui l’adulto replica esattamente quanto ha subito da bambino (identificazione con l’aggressore). Per mezzo dell’atto perverso, riesce ad ottenere potere e trionfo proprio in ciò in cui era stato vittimizzato. Sembrerebbe chiaro che le vittime di abuso sessuale infantile agiscano per ridurre gli effetti del trauma, cercando di superare il senso di impotenza e cancellando l’immagine negativa di se stessi. Attraverso la perpetrazione dell’abuso, il soggetto afferma il proprio controllo su altre persone, allontanando i vissuti destrutturanti.
Ad ogni modo, le sole esperienze sessuali sperimentate in età precoce non sono in grado di sostenere l’ipotesi di disadattamento. Per tale motivo, bisognerà associare gli agiti ad altri fattori, come la violenza coniugata agli atti sessuali, il sesso dell’abusante e la relazione che quest’ultimo intrattiene con la vittima. Secondo Ward et al. (2005) risulta di fondamentale importanza la valutazione dei fattori eziologici distali e prossimali. I primi, ereditari e legati ad esperienze precoci di sviluppo, contribuiscono a rendere il soggetto vulnerabile, guidandolo – così – verso il reato. I fattori prossimali, invece, comprendono gli stati psicologici ed affettivi, assieme ad eventi e situazioni scatenanti.
Si può affermare, dunque, che la comunanza di vissuti traumatici infantili tra le female sexual offenders, non comporta una univocità di atti comportamentali, in quanto ciascuna di esse agisce secondo la specificità dei bisogni da soddisfare.
Un esempio è rappresentato dalla seguente classificazione:
- Gestire il potere e il controllo: la condizione di vittimizzazione subita nell’infanzia, fa sì che queste donne siano alla costante ricerca di dominio e controllo. L’abuso, difatti, diventa l’unico mezzo attraverso il quale esercitare il potere.
- Dire alle proprie vittime che l’abuso è l’espressione del loro amore: il blocco dello sviluppo psicosessuale delle donne abusanti impedisce loro di stabilire relazioni affettive con i partner adulti. L’unica fonte di gratificazione sessuale deriva dall’abuso perpetrato sui bambini.
- Percepire in maniera distorta il desiderio di affetto del minore interpretandolo come interesse sessuale: la percezione distorta è ricollegabile alle esperienze di contatto fisico, vicinanza e rassicurazione richieste dal bambino. Queste ultime vengono decodificate dall’abusante come desiderio di propinquità sessuale. Gli stessi bambini faticano a distinguere le varie tipologie di comportamento, labili a tal punto da mescolare abuso ed affetto.
- Soddisfare i propri bisogni emozionali.
- Paura di violenza da parte del partner: spesso le donne assistono e/o partecipano all’abuso assieme al partner, senza accennare ad alcuna forma di resistenza, poiché terrorizzate dall’idea che eventuali comportamenti violenti possano riversarsi su di loro.
- Compiacere il partner per timore di essere abbandonate: le offenders nutrono assoluta devozione nei confronti del partner. Ciò è dovuto al forte senso di inadeguatezza e alla mancanza di autonomia, dunque la relazione di coppia sembra essere l’unico appiglio al quale ancorarsi.
- Vendetta per l’abuso che loro stesse hanno subito: i traumi subiti in passato trovano sfogo nell’umiliazione della vittima mediante l’atto perverso.
- Gelosia: è questo il caso delle madri che si servono dell’abuso per rivendicare il possesso sul corpo dei figli.
- Soldi: in questa categoria, rientrano quelle donne che mercificano adolescenti e bambini al fine di realizzare filmati e foto da inserire nel circuito della pedopornografia.
- Rabbia: il riconoscimento delle proprie fragilità, unito al forte rancore verso sé stesse, produce un senso di rabbia auto ed etero diretta.
Dallo studio di casi clinici, è stato possibile delineare altre motivazioni che spingono le donne ad abusare:
- Associando il genere maschile al concetto di pericolosità, si sentono maggiormente «sicure» nell’indirizzare le proprie scelte verso i bambini.
- Presentano disturbi psicopatologici, in maniera lieve o moderata.
- Queste donne hanno evidenti difficoltà di relazione col partner. I loro vissuti raccontano storie di matrimoni falliti e convivenze problematiche. Spesso sono oggetto di maltrattamenti fisici e sessuali ad opera di uomini particolarmente violenti.
Ogni agito sessuale femminile presenta una sua univocità strettamente correlata ad una serie di fattori personali, maturati all’interno di specifiche situazioni ambientali. Per questo motivo, la motivazione che spinge al comportamento abusante non può ritenersi unica.
Mi fa piacere leggere contenuti e linguaggio che diffondo ormai da anni e trovarmi in sinergia, potrebbe avviarsi una collaborazione presso l’Osservatorio che dirigo a Roma Tre.
Sono in sms su Whatsupp al 3351031230.