Di Vanda Pennini
Un argomento apparentemente di nicchia è quello della Tratta di esseri umani ma, in realtà, è all’ordine del giorno. Questo fenomeno criminale nelle sue diverse sfaccettature è, infatti, l’elemento cardine della condizione di sfruttamento, una condizione mutata nel corso della storia per dimensioni e caratteri ma che, in ogni caso, è ancora presente. Ad oggi, quando parliamo di sfruttamento parliamo di aree ben precise:
- prostituzione
- sfruttamento lavorativo
- accattonaggio e inserimento coatto in attività criminali
In ognuna di queste aree, tre sono gli indicatori di fondo per poterne circoscrivere gli ambiti di sfruttamento:
- status di povertà
- scarsa accessibilità ai servizi
- basso contributo per il servizio reso
Nello specifico, quando parliamo di prostituzione ovvero di sfruttamento a carattere sessuale, facciamo riferimento ad una realtà di ampio raggio, ed è bene tenere presente che essa è composta da elementi e caratteristiche anche molto diverse tra loro.
Le indagini condotte accuratamente nel tempo da parte delle forze dell’ordine portano alla luce un sistema di gestione della tratta della prostituzione che vede coinvolta la criminalità organizzata ed il suo incrociarsi con i singoli vissuti delle ragazze, delle loro storie familiari e le rispettive condizioni economico-sociali. Tuttavia, al di là della gestione delle grandi organizzazioni criminali, fin dalle testimonianze di operatori e volontari che a vario titolo e su diversi livelli intervengono territorialmente a tutela delle vittime di questa che è tra le più subdole tratte dell’essere umano, è possibile distinguere diversi scenari di sfondo della prostituzione.
Un frequente tipo di sfruttamento a sfondo sessuale, di cui si conosce poco, è quello riguardante le giovanissime donne nigeriane, di solito appena adolescenti. Questa tipologia di “tratta”, a differenza delle altre, corrisponde ad una vera forma di costrizione spirituale oltre che fisica.
Difatti, molte famiglie, per sostenere gli alti costi di vita e di accesso ai servizi, sono costrette a contrarre debiti economici con vere e proprie “agenzie di business”, le quali, raggiunto un certo livello di indebitamento (quasi sempre impossibile da saldare a causa delle condizioni di povertà delle famiglie stesse), propongono alle famiglie di inviare, per conto loro, le giovani figlie nei paesi della prostituzione al fine di saldare il prestito economico. Il percorso stesso delle ragazze prevede una “vendita” loro e dei loro corpi agli stessi ricattatori, oltre che agli uomini dei paesi di arrivo. Costrette dalla povertà, le vittime di tale racket firmano un contratto in cui sottoscrivono la volontaria donazione di sé e del proprio corpo al fine di saldare il debito accumulato dalle famiglie. Per cui, tutto ciò, oltre ad essere un esplicito sfruttamento sessuale, equivale anche a un ricatto morale percepito come “dovere” dalle ragazze stesse.
C’è di più, tale ricatto fisico e morale coinvolge anche la delicata sfera spirituale. Di fatto, il contratto atto a saldare il debito familiare che le ragazze firmano è accompagnato da uno specifico rito vudù che, facendo leva sulla fede personale, lega indissolubilmente le donne a questa condizione di sfruttamento.
Più conosciuto è, invece, lo sfruttamento delle donne dell’est. Una tratta del tutto diversa da quella nigeriana, gestita per lo più da uomini che hanno il controllo classico delle donne, dei punti in cui possono prostituirsi e del ricavato stesso delle prestazioni. In riferimento a questa tipologia si parla di Tratta Dolce, in quanto prevede un coinvolgimento emotivo delle donne, le quali, intimorite dalla presenza di tali uomini considerati “potenti”, si sentono gratificate e confondono la figura dello sfruttatore con quella di un amico, se non addirittura del proprio compagno. A sentire le testimonianze di chi ha avuto un diretto confronto con questa realtà, le donne vittime di tale prostituzione parlano dei loro sfruttatori come dei “propri uomini”, sentendosi più ammaliate che sfruttate. È soprattutto questo il motivo per cui le donne dell’est non si ribellano alla prostituzione, anzi si prestano come atto dovuto, volto al facile guadagno e alla condivisione di quest’ultimo con lo sfruttatore stesso.
Vi sono poi i cosiddetti Fenomeni ibridi, ovvero donne italiane e/o straniere che entrano nel vortice della prostituzione e concedono il proprio corpo, esclusivamente per far fronte alle difficoltà economiche. Una tipologia di prostituzione che aumenta proporzionalmente all’aumentare della crisi economica e che di fatto rischia di non poter essere fermata.
Infine, sempre più spesso, si è di fronte ad una prostituzione definita da Accattonaggio, ovvero quella ricerca da parte del cliente stesso delle persone a cui proporre un tornaconto economico in cambio di prestazioni sessuali singole o ripetute nel tempo. Tale ricerca avviene on-line e off-line, indistintamente in qualsiasi punto e contesto della vita quotidiana. Anche in questo caso, purtroppo, gioca molto la condizione di povertà e fragilità della persona che, in mancanza di alternative, vede in tali proposte una possibilità di guadagno e quindi di sopravvivenza.
È proprio il principio di fragilità che permette alla “tratta degli individui” di farsi spazio prepotentemente nel tessuto sociale di ogni momento storico. Quando parliamo di fragilità, facciamo riferimento ad una condizione di rischio elevato di esiti sfavorevoli che condizionano un peggioramento della qualità della vita. Tutto ciò porta ancora oggi ad accettare condizioni di vita disumane.
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