
Un fenomeno sociale oggi assai diffuso e al centro dei fatti di cronaca è l’aggressività. Un comportamento deviante secondo i sociologi, scaturito da norme e regole apprese durante la socializzazione primaria e secondaria, influenzato da modelli di comportamento appresi dalla famiglia di origine, dal contesto sociale di appartenenza, dal gruppo dei pari e dal ruolo dei media.
Emile Durkheim sostiene che i fenomeni di devianza, disadattamento, disagio e aggressività nella società industrializzata si spiegherebbero con il fondamentale rapporto tra divisione del lavoro e produzione dei conflitti, come elemento costante nella società capitalistica. Evidenzia come il sistema capitalista, attraverso le proprie modalità di organizzazione del lavoro, produca tensioni e conflitti esponendo gli individui a un progressivo processo di anomia, cioè ad un distacco dal tessuto delle relazioni sociali e dal sistema comunicativo che regge la solidarietà sociale, dovuto alla percezione di una mancanza di norme e di regole.
Partendo da questo presupposto, Durkheim spiega come i comportamenti devianti si configurino come necessità sociale. I reati costituirebbero un fattore normale, inevitabile, di una società sana in quanto ne misurano la moralità collettiva e ne rafforzano la coesione sociale. Secondo tale prospettiva, quindi, i fenomeni di devianza, disadattamento, disagio e aggressività non sono fenomeni patologici, scientificamente valutabili per dimensioni e cause, ma sistemi complessi in cui determinati atti e comportamenti vengono definiti, amplificati, riprodotti e utilizzati per difendere interessi e sistemi di mantenimento del controllo.
Secondo Talcott Parsons, invece, la società è un organismo integrato che tende all’equilibrio e alla stabilità, in quanto fondato su un bisogno di conformità che riguarda in modo generalizzato tutti gli appartenenti ad un certo tipo di cultura, ad un determinato sistema di valori. In tal senso la devianza e gli atteggiamenti ad essa connessi, tra cui l’aggressività, appaiono come un processo di azione motivata del soggetto che, malgrado la conformità al sistema sociale a cui appartiene, tende a deviare dalle aspettative che gli altri si sono fatti rispetto al suo ruolo.
Robert Merton, nel riprendere il concetto di anomia di Durkheim, sviluppa un’importante teoria strutturale che vede interagire cultura e società come decisive nella definizione dei mezzi e mete. Se infatti alla struttura culturale Merton fa corrispondere la definizione delle mete culturali interiorizzate durante i processi di socializzazione verso cui tendono i bisogni individuali. Alla struttura sociale egli attribuisce il compito di definire i mezzi legittimi approvati dalla società con cui ottenere il soddisfacimento di tali aspirazioni. Secondo lo studioso, l’anomia è quindi il risultato del distacco tra struttura culturale e società, a seguito del quale il raggiungimento delle mete risulta compromesso dall’insufficienza dei mezzi e da un indebolimento della motivazione dei soggetti nel perseguimento degli obiettivi culturali prescritti. È la disuguaglianza sociale, dunque, a generare l’anomia.
Lo studioso indica, inoltre, come condizioni che favoriscono l’insorgere del comportamento deviante, insieme alla stratificazione sociale e al rischio dell’anomia, la questione di una socializzazione primaria non adeguatamente sviluppata, che riguarda in particolare i soggetti culturalmente ed economicamente svantaggiati; per i membri delle classi sociali inferiori, infatti, la devianza, appare come l’unico mezzo a disposizione per conseguire le mete culturali prescritte.
Albert Kircidel Cohen sviluppa e approfondisce il concetto di devianza in rapporto al fenomeno delle bande giovanili e dei comportamenti violenti e vandalici. Secondo Cohen, al fenomeno della sottocultura delinquenziale è particolarmente esposta la gioventù appartenente alle classi proletarie, in quanto esse si trovano in condizione di svantaggio nel perseguimento degli obiettivi di successo culturale stabiliti dal sistema sociale. Questa situazione determina una reazione di opposizione che sfocia nel comportamento reattivo verso i valori sociali dominanti, che porta all’assunzione di atteggiamenti aggressivi e distruttivi.
D’altra parte, bisogna considerare che il fenomeno dell’aggressività non è solo determinato da un opposizione agli obiettivi socialmente interiorizzati in una società. Infatti, secondo la teoria dell’apprendimento sociale proposta da Albert Bandura , i comportanti aggressivi sono attuati da persone che durante la crescita hanno riscontrato conseguenze positive e quindi un approvazione sociale connessa a tali atteggiamenti.
Pertanto si può notare che tutti i sociologi convergono sull’idea che l’aggressività sia la manifestazione della devianza, ossia quelle azioni che vanno contro le regole diffuse nella società e che perciò vengono considerate ingiuste o anormali dalla maggioranza degli individui.
Lascia un commento