Di Giulia Panico e Gianfrancesco Coppo
Il fenomeno Hikikomori nasce circa 15 anni fa in Giappone, significa letteralmente “isolarsi, stare in disparte”, e viene utilizzato per indicare il comportamento di adolescenti e giovani adulti che a un certo punto della loro vita decidono di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi, rinchiudendosi nella propria camera da letto, senza aver nessun tipo di contatto diretto con il mondo esterno.
Tale fenomeno sembra riguardare tutti i paesi economicamente sviluppati del mondo. Al momento in Giappone ci sono oltre mezzo milione di casi accertati, ma, secondo le associazioni che se ne occupano, il numero potrebbe arrivare perfino a un milione. Anche in Italia ci sarebbero almeno 100.000 casi.
L’hikikomori trascorre così tanto tempo davanti al pc da mettere a repentaglio la propria vita sociale, che viene completamente sostituita da quello virtuale. Secondo Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria Infantile presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, “la mancanza di contatto sociale e la prolungata solitudine determinano nei ragazzi una perdita delle competenze sociali e comunicative”.
Questo fenomeno comincia a manifestarsi quando i ragazzi iniziano a trascorrere più di tre ore al giorno tra Internet e la console “sentono la necessità di isolarsi e dedicarsi in maniera quasi ossessiva ai contatti virtuali o a superare il record dell’ultimo videogame. Si può parlare, dunque, di un primo indizio di rischio” (C. Colasanti).
La sindrome vera e propria scatta quando le ore diventano 10-12, hanno spiegato gli esperti della FNOMCeO, Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri. Ed è così che inizia a calare il rendimento scolastico e si accentua l’isolamento.
Diverse sono le possibili cause:
- caratteriali: gli hikikomori sono ragazzi molto intelligenti, introversi e sensibili. Questa personalità contribuisce alla loro difficoltà nell’instaurare relazioni soddisfacenti e durature.
- familiari: l’assenza emotiva del padre e l’eccessivo attaccamento alla madre sono indicate come possibili cause, soprattutto nell’esperienza giapponese.
- scolastiche: il rifiuto della scuola, in quanto l’ambiente scolastico viene vissuto in modo particolarmente negativo. Infatti, molte volte dietro l’isolamento si nasconde una storia di bullismo.
- sociali: gli hikikomori hanno spesso una visione molto pessimistica della società e soffrono particolarmente le pressioni di aspettative sociali, a tal punto da ripudiarle.
La causa viene spesso ricondotta all’eccessivo utilizzo di internet, ma effettivamente non è così poiché il fenomeno è scoppiato in Giappone prima che si diffondesse l’utilizzo del pc. Per cui si può sostenere che navigare in internet consenta ai ragazzi di relazionarsi, ma allo stesso tempo di isolarsi ed estraniarsi dal mondo reale. Quindi, più che una causa, può considerarsi una conseguenza.
L’hikikomori è un meccanismo di difesa messo in atto come reazione alle eccessive pressioni derivate da aspettative sociali tipiche delle società capitalistiche economicamente più sviluppate.
(Marco Crepaldi, presidente di Hikikomori Italia)
Le pressioni delle aspettative sociali sono ovviamente più forti nell’adolescenza e nei primi anni di vita adulta, quando vi sono molte attese rispetto al futuro. La società, la famiglia, la scuola nutrono aspettative sempre più elevate, spesso soffocanti, e gli adolescenti che non ne reggono il peso si sentono impotenti, dei veri e propri falliti. Di conseguenza, provano rabbia e odio verso chi per loro è causa del proprio dolore. Da qui la scelta del ritiro e dell’isolamento.
Maïa Fansten, sociologa francese che si occupa di isolamento sociale, ha provato ad avanzare una prima classificazione delle diverse tipologie di hikikomori, partendo dalle differenti motivazioni che possono trovarsi alla base della scelta di isolarsi.
Esse sono:
- ritiro alternativo: definito da Maïa Fansten come “un modo per evitare l’adolescenza normata e crescere in modo diverso”, questa tipologia di hikikomori decide di isolarsi perché non accetta di adeguarsi alle dinamiche tipiche della società attuale.
- ritiro relazionale: viene spiegato come “una reazione sintomatica a una situazione di grandi difficoltà familiari”. Gli hikikomori che fanno parte di questa categoria vivono, o hanno vissuto, in contesti sfavorevoli (familiare, scolastico e sociale) che hanno contribuito ad aggravare una tendenza all’isolamento già preesistente.
- ritiro dimissionario: definito come “un modo per fuggire dalle forti pressioni sociali”, riguarda quegli hikikomori che non riescono a colmare le aspettative genitoriali o, più in generale, della società.
- ritiro a crisalide: definita come “una sospensione del tempo che esprime un’impossibilità di essere un individuo adulto autonomo”. In questo caso l’hikikomori cerca nell’isolamento una fuga da quelle che sono le responsabilità e le incombenze dell’età adulta. Sente di non avere le competenze per affrontarle e questo sentimento provoca in lui una grande paura.
A supporto di questa tesi vi è un recente studio condotto in Belgio, che ha coinvolto 730 adolescenti. Ai partecipanti sono state presentate due diverse tipologie di scenario:
- scenario di inclusione sociale: “viene inaugurata una nuova panineria in città. Alcuni dei tuoi compagni di classe ci andranno per pranzo e ti hanno chiesto se vuoi unirti a loro.”
- scenario di esclusione sociale: “vedi su Facebook la foto di un compleanno di classe al quale tu non sei stato invitato.”
I partecipanti, che precedentemente erano stati identificati come “più solitari”, hanno vissuto la situazione di esclusione sociale in modo maggiormente negativo rispetto agli altri (manifestando alti livelli di rabbia, delusione, e gelosia), attribuendo tale esclusione alle proprie caratteristiche personali (aspetto, carattere, ecc.).
Ancor più interessanti, tuttavia, sono state le reazioni di questi ragazzi nella situazione di inclusione sociale (ovvero quando erano stati effettivamente invitati dagli amici). In quanto l’invito ricevuto è stato interpretato come un caso o comunque legato a un secondo fine.
In riferimento a questo meccanismo rafforzativo della solitudine, Weeks Molly, coautrice dello studio e ricercatrice presso il Dipartimento di Psicologia e Neuroscienze della Duke University, afferma che:
Questi risultati ci mostrano che gli adolescenti più solitari sembrano rispondere alle situazioni sociali in modo tale da perpetuare la propria solitudine. La ricerca futura dovrebbe, quindi, indagare sul quando e come la solitudine temporanea diventa solitudine cronica e capire come si possa intervenire per evitare che ciò accada.
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