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Il Paradosso della Felicità: la relazione tra Reddito e Benessere soggettivo

26 Febbraio 2018 da Webmaster Lascia un commento

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Di Giulia Panico

La relazione tra economia e felicità è un campo di indagine che suscita, sempre più, l’interesse delle scienze sociali. Molti sociologi rivolgono la loro attenzione al «Paradosso della felicità», un’espressione con la quale si vuole criticare la non correlazione, che si riscontra in molti paesi industrializzati, tra aumenti di reddito e benessere soggettivo.

I due sociologi Zamagni e Bruni, pongono l’attenzione sul concetto di “felicità relazionale”, la quale sembra rappresentare una delle spiegazioni principali del paradosso della felicità (2004).

Il paradosso della felicità attualmente viene spiegato con la metafora del treadmill: l’aumento del reddito porta con sé l’aumento di qualcos’altro. Kahneman distingue due tipi di treadmill effect: il treadmill edonico e il treadmill delle aspirazioni.

L’hedonic treadmill deriva dalla teoria del livello di adattamento:

“quando abbiamo un reddito basso utilizziamo, per esempio, un’utilitaria; quando il nostro reddito aumenta acquistiamo una nuova berlina, la quale, inizialmente, provocherà un miglioramento di benessere per qualche mese poi ci ridarà lo stesso benessere dell’utilitaria, poiché opera un meccanismo psicologico di adattamento” (L.Bruni).

Il satisfaction treamill dipende dal livello di aspirazioni. Quest’ultimo fa in modo che la felicità soggettiva (autovalutazione) rimanga costante, nonostante la felicità oggettiva (la qualità dei beni che consumiamo) migliori.

La teoria della scuola italiana sostiene che, pur considerando la ricchezza un prerequisito importante della felicità, l’essere umano per essere felice deve instaurare delle relazioni.

L’idea di fondo è che il benessere soggettivo sia influenzato dai rapporti intersoggettivi: maggiore è il tempo che dedichiamo e quindi che si “spende” nei rapporti umani per fini non strumentali, maggiore è il livello di felicità che si raggiunge e quindi il “guadagno”.

La spiegazione del paradosso della teoria della felicità parte dal bene relazionale, in quanto la relazione è un bene: il rapporto tra i soggetti non è un mezzo ma il fine stesso.

Le caratteristiche-base di un bene relazionale sarebbero:

  • identità delle singole persone coinvolte;
  • reciprocità tra le relazioni;
  • simultaneità, in quanto i beni relazionali si producono, si consumano insieme ai soggetti coinvolti;
  • fatto emergente all’interno di una relazione;
  • gratuità, in quanto una relazione non è un incontro di interessi;
  • bene, perché soddisfa un bisogno.

Il benessere economico è in funzione sia del reddito individuale (inteso come mezzi materiali) che dei beni relazionali utilizzati dall’individuo. A questo punto la domanda che ci si potrebbe porre riguarda il significato che potrebbe essere attribuito a questa funzione.

L’attenzione va posta innanzitutto sulle variazioni positive di reddito, in quanto esse hanno un duplice impatto sulla felicità:

  • positivo e diretto, per “bassi” livelli di reddito. Al di sotto di una certa soglia, una variazione positiva di reddito consente, infatti, a chi è povero di soddisfare i bisogni primari e di curare meglio i rapporti intersoggettivi in quanto consente un più alto livello di soddisfazione;
  • negativo e indiretto, per “elevati” livelli di reddito. Oltre una certa soglia è, invece, plausibile ritenere che una variazione positiva di reddito determini – in parte – una riduzione del livello di soddisfazione.  Infatti, guadagnare di più vuol dire anche lavorare molto di più e di conseguenza non avere tempo per gli altri, da qui è chiara la riduzione di felicità, la quale è dovuta alle conseguenze negative che, indirettamente, un aumento di reddito produce sulle relazioni intersoggettive non strumentali (M.Verde).
  • Il primo effetto del reddito sulla felicità (positivo e diretto), si rifa al noto capability approach di Amartya Sen. L’importanza che egli attribuisce al reddito è strettamente legata ai vantaggi che se ne possono trarre in termini di benessere e libertà.

La possibilità del reddito di trasformarsi in benessere effettivo per le persone sembra dipendere da diverse “fattori”:

  • eterogeneità delle persone (ad esempio la presenza di limitazioni fisiche o malattie);
  • diversità ambientali (clima);
  • variazioni del clima sociale (sistema scolastico, diffusione del crimine eccetera);
  • differenze relative (essere poveri in una società ricca può limitare la partecipazione del soggetto alla vita sociale);
  • distribuzione intra-familiare (dipendente da sesso, età, o altro).

Da questa serie di considerazioni, Sen trae la conclusione che il benessere del soggetto debba essere inteso come capacità di realizzare i propri obiettivi. Sono i funzionamenti (functionings) che formano le capacità (capabilities) di un individuo, poiché ne costituiscono le reali opportunità dello “stare bene”. La ricchezza viene intesa come uno strumento per ampliare le capacità e, in ultima analisi de,i funzionamenti.

Motta, riprendendo Sen, afferma che sono i funzionamenti relazionali (avere appaganti relazioni sociali, essere integrati e sentire di appartenere ad una comunità, essere in grado di scambiare esperienze con gli altri) a creare benessere (2006).

Secondo i teorici italiani, quindi, il benessere economico è un mezzo che aumenta la libertà dell’individuo per realizzare il suo modo di essere. Ecco perché ad una variazione positiva di reddito si accompagna un aumento di felicità. E’ proprio su questo aspetto che si concentrano Bruni e Zamagni, secondo i quali un incremento di reddito rende sicuramente, per svariati motivi, gli esseri umani più felici, ma può diventare anche fonte dell’“infelicità” degli individui. Il motivo è legato al fatto che la crescita economica alimenta una dinamica di deterioramento delle relazioni sociali.

© Riproduzione riservata

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