
Di Andrea Manno
Nel corso del mio periodo di formazione ho avuto la possibilità di svolgere un tirocinio in una Casa di Reclusione maschile, durante il quale, tra le altre cose, ho potuto assistere da osservatore partecipante ai colloqui che il mio tutor (psicologo ex art. 80) sosteneva, nell’ambito del processo di osservazione e trattamento, con alcuni dei detenuti da lui seguiti. Molti di essi avevano alle spalle storie così interessanti (dal punto di vista professionale) che sarebbero da raccontare e analizzare una ad una, ma l’etica personale, professionale e la privacy dei soggetti non consentono che questo si possa fare pubblicamente.
In questo articolo, riporto quali sono gli elementi e i temi che, secondo il mio parere, si possono considerare comuni alla maggior parte dei detenuti, con l’idea che possano essere molto utili per iniziare o proseguire una riflessione seria sull’istituzione carceraria. Ogni elemento individuato sarà descritto e seguito da un breve commento personale.
- La stragrande maggioranza dei colloqui erano richiesti per motivi riguardanti l’accesso a, o il proseguimento di, misure alternative alla detenzione.
Il motivo principale per cui questo accade va ricercato nel fatto che l’ordinamento penitenziario, e la sua messa in pratica, legano strettamente l’opinione dello psicologo sul detenuto al suo effettivo accesso a questo tipo di misure. Se questo ha sicuramente un senso da un certo punto di vista, bisogna però considerare anche la grande potenzialità di strumentalizzazione del suo lavoro insita in questa connessione.
- I racconti della maggior parte dei detenuti, anche di quelli con alle spalle un lungo percorso di “redenzione”, erano costellati dalla commissione frequente di tanti piccoli reati, oltre quello principale che li ha portati in una Casa di Reclusione [1] , che spesso erano considerati da loro stessi come stupidi imprevisti dovuti a ingenuità o scarsa accortezza.
A prima vista, una considerazione di questo tipo può far pensare a una comune matrice di personalità antisociale presente nei soggetti, che li porta naturalmente a non considerare la legge come qualcosa di importante da rispettare. Tuttavia, insieme a questa ipotesi, si deve tenere presente che la maggior parte di questi reati minori avvengono dopo un primo arresto, e, quindi, dopo una prima esperienza in carcere. Dunque, nel provare a spiegare questo secondo elemento non si può prescindere dal considerare la possibilità di un eventuale effetto deviante che l’esperienza detentiva può avere sulla personalità e le scelte di un individuo.
- La maggior parte delle storie raccontate dai detenuti presentavano dei punti oscuri e ambigui che lo psicologo non era in grado di chiarire.
Questo punto è a mio avviso intrinsecamente collegato al primo: come si fa infatti a pretendere sincerità e trasparenza da una persona che sa che il suo interlocutore userà tutto quello che gli viene detto per decidere se il suo futuro si svolgerà ancora dietro le sbarre?
- Tutti i detenuti che erano nel mezzo di un processo di risocializzazione positivo (percentuale molto bassa in realtà) avevano alle spalle qualcuno (familiari, partners) che li sosteneva molto da vicino in questo difficile percorso.
Quanto i pochi successi dell’esperienza carceraria sono imputabili al trattamento penitenziario e quanto alla rete sociale preesistente al periodo detentivo?
- Lo psicologo si ritrovava molto spesso ad essere impotente nei confronti delle richieste che gli venivano poste, in quanto non competevano il proprio ruolo ed erano quasi sempre dovute all’inefficienza di percorsi burocratici o di organi amministrativi.
Oltre all’inefficienza delle istituzioni, emerge da questo punto la poca chiarezza agli occhi dei detenuti del ruolo dello psicologo all’interno di un carcere.
Anche in questi pochi punti emersi dalla mia limitata esperienza all’interno del contesto penitenziario emergono molti spunti di riflessione, che sarebbe giusto e necessario cercare di approfondire e studiare, per il bene tanto dei reclusi, quanto dell’intera società.
[1] Accedono alla detenzione in un Casa di Reclusione i detenuti condannati definitivamente ad una pena maggiore o uguale ai 5 anni.
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