
È il 17 Maggio 2015. Marco, un ventenne di Cerveteri, telefona a casa per informare i genitori che, dopo aver cenato a casa della fidanzata, si tratterrà lì anche per dormire. Sono circa le 23.00, quando dal cellulare del ragazzo parte una chiamata rassicurante volta al padre. Non era la prima volta che Marco trascorreva la notte dalla sua ragazza a Ladispoli, stavano insieme da tre anni e le famiglie si conoscevano da tempo. Il ragazzo avrebbe fatto rientro a casa sua l’indomani mattina, nessuno immaginava quello che sarebbe successo di lì a poco.
Nella villetta della famiglia Ciontoli a Ladispoli, infatti, è successo qualcosa di grave, trasformatosi poi in un danno irreparabile. È proprio dall’utenza telefonica di quell’abitazione che, poco prima della mezzanotte, partono ben tre chiamate al 118. Una voce maschile chiede aiuto, un ragazzo si è sentito male a causa di uno spavento. L’operatore dall’altro capo della cornetta chiede informazioni per mettere in moto la macchina dei soccorsi, ma la risposta data è che non occorre più alcun intervento: il giovane si è ripreso.
Dopo 30 minuti giunge una seconda telefonata al centralino: questa volta si chiede l’invio di un’ambulanza a seguito di un incidente domestico. Un ragazzo si sarebbe ferito alla schiena con un pettine a seguito di uno scivolamento in doccia. È un caso da codice verde, di conseguenza a bordo del mezzo non è fondamentale la presenza di un medico e le sirene sono spente. Appena giunti sul posto, i soccorritori capiscono che qualcosa non quadra: Marco è vestito, sulla schiena ha un piccolo foro simile ad una bruciatura di sigaretta. Una ferita incompatibile con le modalità precedentemente descritte al personale paramedico. In ospedale ci si renderà conto che la situazione è gravissima.
La famiglia Ciontoli, frattanto, ha allertato i genitori del ragazzo:
Nulla di preoccupante, Marco è caduto dalle scale.
Arrivati sul posto ancor prima dell’ambulanza, la madre e il padre del giovane si convincono che non sia accaduto nulla di grave. Il mezzo arriva a sirene spente: un buon segnale. Quando i soccorritori spingono la barella su cui è disteso Marco, però, lo sconforto prende il sopravvento. Il ragazzo è incosciente. «Stavano solo giocando ed è partito un colpo», avrebbe riferito il fratello della fidanzata ai genitori di Marco. Circostanza successivamente confermata dal signor Ciontoli (padre della ragazza) ai medici.
Il proiettile, passato sotto ad un braccio, ha perforato il polmone trapassando il cuore. Un quadro clinico complesso e da codice rosso. Viene così chiamata l’eliambulanza per trasferire il giovane al Policlinico Gemelli di Roma, ma ormai è troppo tardi, il cuore di Marco smette di battere. Alle 3.00 del mattino, giunto comunque a Roma, viene dichiarato morto.
Incidente? Omicidio? Va ricordato che, al momento dei fatti, sono cinque le persone presenti in villa Ciontoli: la fidanzata del giovane, il fratello assieme alla compagna e, infine, la madre e il padre della ragazza. Testimoni muti legati, forse, da un patto familiare. Non sarebbe il primo caso, la cronaca ce lo insegna bene.
Perché non raccontare quanto accaduto quella sera? E, soprattutto, perché allertare i soccorsi in ritardo, esponendo versioni che non trovano corrispondenza con gli accadimenti?
Stando alle dichiarazioni dei familiari della vittima mancherebbero alcuni abiti indossati dallo stesso quella maledetta sera di maggio: una canottiera rossa e un costume bianco. Qualcuno si è liberato di quelle scomode prove? Non è da escludere una lucida azione di depistaggio operata anche sul luogo dell’accaduto, il bagno, probabilmente. Gli investigatori hanno rinvenuto delle garze ed un asciugamano intrisi di sangue.
Nessuno parla, le uniche parole raccontano di un colpo partito accidentalmente mentre il signor Ciontoli – sottufficiale della Marina – stava pulendo la sua arma. Che sia l’amore per se stessi, volto a salvaguardare l’integrità delle apparenze, incapace di vacillare anche dinanzi la morte?
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