Il sacrificio umano è un fenomeno diffuso in tutto il mondo, ma da nessuna altra parte come fra gli aztechi del Messico centrale fu mai praticato su così vasta scala. Oggi, infatti, si stima che ogni anno gli aztechi sacrificassero tra i 15.000 e i 20.000 esseri umani con un totale che oscilla tra 1.200.000 e 1.600.000 vittime.
La maggior quantità di sacrifici si tenne nel Grande Tempio dedicato a Huitzilopochtli, il dio del sole e della guerra, nella capitale dell’impero azteco, Tenochtitlán. Qui gli aztechi disponevano orgogliosamente le teste delle loro vittime (uomini, donne e bambini, indistintamente) su pubblici espositori in file ordinate e facili da contare. Huitzilopochtli chiedeva ogni giorno sacrifici umani; altrimenti c’era il rischio – temutissimo – che il sole, il giorno seguente, non sarebbe sorto e l’umanità intera si sarebbe spenta. “La guerra come un fiore”, recita un inno messicano, “dà gioia a Dio”.
Gli aztechi erano, infatti, un popolo guerriero. Nati come piccola tribù circondata da vicini ostili, lottarono per aprirsi la strada verso l’esterno e costruirono un impero che si estendeva da un mare all’altro nel Messico centrale. Per ringraziare gli dèi per la fortuna loro concessa e indurli a continuare a elargire favori, gli aztechi offrivano loro il sangue dei prigionieri che i guerrieri, per fare carriera militare, catturavano vivi in battaglia. Al proprietario del prigioniero sacrificato venivano riservate le parti migliori da servire al banchetto di famiglia, mentre uno stufato cucinato con i pezzi rimasti veniva offerto alle masse. A puma, lupi e giaguari, invece, venivano date le ossa.
“I sacerdoti” – si legge in La violenza religiosa: dalla Bibbia all’Isis di Dag Tessore – “riassumevano in sé tutti i tratti peculiari della spiritualità azteca: vestivano una lunga tonaca nera, ornata tutto intorno da teschi umani, e portavano lunghi capelli, perpetuamente imbrattati di sangue umano. […] Quando un uomo veniva destinato al sacrificio, i sacerdoti lo vestivano a festa, lo facevano tutto bello e lo mandavano in giro per la città […] a ballare e cantare allegramente; la gente gli offriva cibi pregiati e gli metteva al collo corone di rose. Due vecchi sacerdoti lo seguivano segretamente e di tanto in tanto gli si presentavano di fronte e, se notavano che il suo volto non era allegro o che i suoi occhi celavano terrore, gli mostravano i coltelli del sacrificio e gli davano da bere del cacao, mischiato con il sangue rimasto sulle lame dei sacrifici precedenti. […] Giunto [il momento], i sacerdoti lo portavano nel tempio, lo stendevano sull’altare e con un pugnale di pietra gli estraevano il cuore ancora vivo; il corpo veniva quindi fatto rotolare giù per le lunghissime gradinate del tempio”.
In onore del dio dell’agricoltura Xipe Totec si teneva il rituale dello “scotennamento degli uomini”. Si cominciava con la regolare estrazione di cuori in cima a una piramide, poi i corpi venivano macellati per il rinfresco familiare. Il giorno successivo, si incatenava a una pietra un prigioniero, al quale si consegnavano delle armi smussate con cui combattere contro quattro guerrieri muniti, invece, di armi taglienti. Dopo l’inevitabile uccisione del prigioniero, i sacerdoti lo aprivano in due e i celebranti lo mangiavano. Il proprietario del prigioniero portava una ciotola di sangue in tutti i templi per dipingere le bocche degli idoli, quindi, per i venti giorni successivi, indossava la pelle dell’uomo morto fino alla decomposizione. Alla fine, si collocava ritualmente la pelle in una grotta del tempio e si ripuliva il celebrante.

I sacrifici dei bambini erano molto graditi al dio della pioggia, Tlaloc: i maschi venivano uccisi sulle montagne vicine alla città e la statua del dio dipinta con il loro sangue, mentre le femmine, vestite d’azzurro, venivano sgozzate e gettate nelle acque del Lago Texcoco. A tutti gli infanti si tagliava di netto la gola, dopo che il sacerdote li aveva fatti piangere per raccoglierne le lacrime.
A Xilonen, dea del mais non ancora maturo, venivano sacrificate le donne. Nel mese di giugno si uccideva la donna che rappresentava la dea, decapitandola mentre ballava; in agosto, invece, la donna che impersonava Teteoinnan, madre degli dèi, veniva decapitata e scuoiata e la sua pelle indossata dal sacerdote fino al rito seguente. “Il motivo dell’uccisione della madre” – scrive Rosalind Miles in Chi ha cucinato l’ultima cena? Storia femminile del mondo – “è ancora più evidente in un particolare della raccapricciante procedura: una coscia della donna, vittima sacrificale, veniva scuoiata a parte e la pelle usata come maschera del sacerdote, che impersonava il figlio della ‘madre’ morta”.
Le vittime dedicate a Xiuhtecuhutli, dio del fuoco, venivano sedate e gettate nel fuoco.
Come si è visto, nel mito azteco, la maggior parte degli dèi del panteon pretendeva sangue umano. Soltanto Quetzalcóatl, dio del vento, rifiutò il sacrificio umano e pertanto gli altri dèi lo obbligarono all’esilio. Quando Quetzalcóatl scomparve, promise un suo ritorno sulla Terra. All’arrivo degli Spagnoli molti indigeni credettero di trovarsi difronte a Quetzalcóatl, cui la tradizione popolare attribuiva una pelle bianca.
Il sacrificio umano degli aztechi è, forse per via delle cifre impressionanti, talmente complesso e misterioso che la maggior parte degli studiosi lo ha relegato prevalentemente alla sfera religiosa. Interessante, però, è il lavoro degli antropologi Michael Harner e Marvin Harris che, negli anni Settanta del Novecento riprendendo l’ipotesi avallata da E.J. Payne (1899), provarono a giustificare i sacrifici aztechi con l’assenza, nell’America Precolombiana, di animali da allevamento da mangiare, cosa che avrebbe indotto i nativi a cercare una fonte alternativa di proteine. Le piccole popolazioni avrebbero potuto cacciare gli animali selvatici e pescare ma, in una regione così densamente popolata come il Messico centrale, i soli grandi animali presenti in abbondanza erano proprio gli esseri umani. Per procurarsi l’apporto proteico, i messicani ebbero bisogno del permesso dei loro dèi di uccidere e mangiare i vicini, perciò gli aztechi offrivano il cuore e il sangue alle loro divinità e, in cambio, potevano tenere la carne per sé. Il problema era dunque, ancora una volta nella Storia dell’Uomo, la fame.

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