La Stampa di venerdì 21 maggio 1982 titolava: “Loren in carcere”.
Nel 1982 Sophia Loren aveva 48 anni e qualche anno prima era stata condannata per evasione fiscale a causa di una dichiarazione dei redditi irregolare. All’epoca l’artista, reduce dall’assegnazione dell’Oscar per la sua interpretazione ne La Ciociara di Vittorio De Sica, era considerata una delle attrici più famose al mondo.
L’articolo di Francesco Santini anticipava e si accodava alle tante – forse troppe – voci che hanno raccontato, romanzando tanto, i giorni che la Loren trascorse nell’Istituto penitenziario di Caserta, dove ad attenderla c’era la direttrice, la dottoressa Liliana De Cristoforo. Ed è proprio la De Cristoforo a ricordare quei giorni nel suo libro Donne dietro le sbarre. Da Alfonsina a Sophia Loren (Rubbettino, 2013) [1] :
Oltrepassai il cancello che divideva gli uffici della zona detentiva e raggiunsi la sezione situata al secondo piano. Scelsi una cella, al momento vuota, di dimensioni regolari e piuttosto distante dalle altre. La stanza era arredata come tutte le altre: letto e comodino in ferro, armadietti singoli in formica color ruggine. Nessuna diversità neanche per quanto riguardava l’aspetto strutturale, pareti bianche, pavimenti in granigliato di marmo grigio, servizi igienici in ceramica smaltata e rivestimenti in maiolica bianca. Quella cella sarebbe stata oggetto di tante curiosità, molti si chiedevano quali particolari caratteristiche avesse, di quali agi e lussi fosse dotata per essere destinata a ospitare una diva di quel calibro. Non si voleva credere che fosse una semplice cella di pochi metri quadrati con mobili di dotazione ministeriale, un piccolo televisore e niente altro. […] Appena entrata apparve spaventata e sgomenta. L’impatto emotivo fu indubbiamente traumatico. Il repentino passaggio dall’eccitazione della folla scalmanata all’esterno, alla fredda e tetra realtà carceraria all’interno, le provocò un improvviso pallore e un involontario mutismo che si protrasse per qualche minuto. […] rimase lì a guardarsi intorno disorientata senza saper bene cosa dire e cosa fare. […] Fui colpita dalla sua magrezza e dalla statura accentuata da tacchi altissimi che le consentivano di sovrastare tutti di almeno un palmo. Indossava un semplice tailleur di lanetta leggera color verde marcio firmato Valentino che le conferiva un aspetto sobrio ed elegante. S’intuiva una personalità fiera che probabilmente le era propria e una classe non innata che doveva essere il risultato di molti studi ed esercizi. Dimostrava, inoltre, un contegno altero e regale mitigato dall’esigenza pratica del momento di scendere giù dal trono. Era evidente che si riteneva obbligata ad essere gentile con tutti pur avendo il nascosto desiderio di non dare retta a nessuno. […] Nell’ufficio matricola dopo la registrazione dei dati consegnò, come di prassi, il denaro e i gioielli che aveva con sé: un grosso bracciale rigido istoriato, un raffinato anello di brillanti e un vistoso medaglione di pregevole fattura e di apparente notevole valore. ‘Non vi preoccupate’, disse mentre gli oggetti venivano depositati con cura nella cassaforte, ‘è tutta roba falsa, oggi l’oro non lo porta più nessuno’. […] Parlò poco, non espresse giudizi, non avanzò richieste, non formulò lagnanze, e questo fu il suo comportamento durante tutto il periodo della detenzione.
La curiosità, come prevedibile, attanagliò tutto il personale impiegato nel carcere e, naturalmente, le altre detenute che:
le concessero un paio di giorni per ambientarsi, dopo di che pretesero di essere prese in considerazione. Cosa erano tutte quelle storie da gran dama? Quel rimanere rintanata fra quattro mura senza degnarle di alcuna attenzione? Lei era una come loro e quindi si doveva mostrare senza avanzare scuse. Acconsentì a conoscerle durante la cosiddetta ora d’aria. Le incontrò nel cortile di passeggio dove si sottopose a un serrato interrogatorio che spaziò dalla sua vita privata a quella professionale, dalla richiesta di raccomandazione per intraprendere un’attività artistica a quella di garanzia per ottenere un prestito bancario, dalle curiosità riguardanti il mondo dello spettacolo a quelle riguardanti il prezzo dei gioielli e degli abiti firmati. Ricordo quell’incontro in una luminosa giornata di giugno, tutte indossarono il loro abito migliore, si truccarono e si prepararono con cura come per una festa e l’accolsero con applauso e un gran fascio di fiori. Alcune di loro, originarie di paesi africani, si esibirono in danze etniche ritmando e cantando musiche delle loro terre. […] Molte riuscirono a ottenere qualcosa in dono, una radiolina portatile, un mangianastri, una camicetta di seta, un foulard firmato, degli occhiali da sole, una cintura e altro.
Dall’esterno in molti credevano che a una diva come lei venisse riservato un trattamento di favore; molti immaginavano la sua cella, altri cosa ordinasse al ristorante: nessuno credeva possibile che Sophia Loren mangiasse gli stessi pasti serviti alle altre detenute:
Si insisteva molto sulla faccenda dei privilegi, sembrava che ogni cosa fosse un trattamento di favore: stare da sola in cella, mangiare soltanto verdure, ricevere tanta posta, leggere libri d’autore, tutti privilegi. Neanche il Presidente della Repubblica Pertini si sottrasse al coro e, durante una cerimonia al Quirinale, con alcuni giornalisti si espresse in questi termini: ‘La domanda di grazia ancora non mi è giunta. Se la concederò o meno me lo tengo per me. Comunque so che la signora Loren sta bene, ha il bagno e il televisore in cella. Magari avessi avuto queste cose io al tempo della mia prigionia’. Non ho mai capito se il presidente sapesse che il bagno e il televisore in cella era una prerogativa riservata a tutti i detenuti. Ma l’opinione pubblica era molto attenta e i commenti al vetriolo non si risparmiavano.
La nostra trascorreva le giornate chiusa in cella a leggere i giornali, a guardare la televisione e a rispondere alle centinaia di lettere che le giungevano quotidianamente. Tra i numerosi regali giunti alla diva, tra i più originali la Direttrice del carcere ricorda un enorme fascio di mille rose rosse dallo stelo lunghissimo che le fu fatto recapitare da un ignoto ammiratore di cui non si seppe mai l’identità. Molti pensarono che fosse un pensiero di Mastroianni, altri di Ponti: le voci raccontavano che entrambi andassero a trovare spesso Sophia ma, in realtà, nel carcere non si vide mai nessuno dei due. In compenso, non mancavano mai schiere di ammiratori che, ogni giorno, tentavano ogni espediente per incontrarla: fingersi produttori cinematografici, facchini, tecnici, operai… Padre Antonio Lisandrini, un frate francescano confidente di vecchia data della coppia Ponti-Loren, venne a farle visita:
Sono sconcertato per il sadismo che traspare da questa morbosa avidità di notizie. Avverto quasi un sottile piacere da parte di tutti per la sorte toccata a Sophia. È la stella che precipita e nessuno vuol perdersi lo spettacolo. È proprio vero che nella vita tutto è vanità”.

Dopo 17 giorni di prigionia, alle 6.00 del mattino del 5 giugno 1982, Sophia Loren tornava ad essere una donna libera. Ad attenderla un nutrito stuolo di cronisti che, da lì a venire, si trovò pronto a chiederle come avesse intenzione di raccontare quell’esperienza:
Non scriverò libri né romanzi carcerari, figuriamoci se ho l’intenzione di rivivere quei momenti. È stata un’esperienza terribile che non auguro a nessuno. Durante il periodo della detenzione ho provato il male della solitudine. La libertà è il bene maggiore che esista e quando penso a tutti quelli che, per una ragione o per l’altra, ne vengono privati sto fisicamente e psicologicamente male”.
[1] Tutte le citazioni presenti in questo articolo, se non diversamente indicato, sono tratte dall’opera di Liliana De Cristofaro.
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