Nel diritto e nella procedura penale, la presunzione di non colpevolezza è il principio secondo cui un imputato è innocente fino a prova contraria. In particolare, l’art. 27, comma 2, della Costituzione afferma che:
L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Tale principio risponde a due esigenze fondamentali:
- affermare la presunzione di innocenza;
- prevedere la custodia cautelare, prima dell’irrevocabilità della sentenza.
L’imputato, infatti, non è assimilato al colpevole fino al momento della condanna definitiva. Ciò comporta il divieto di anticipare la pena, mentre consente l’applicazione delle misure cautelari. La Corte Costituzionale, con Sentenza 124/1972, ha chiarito che tale disposizione va interpretata nel senso in cui l’imputato non deve essere considerato innocente né colpevole, ma soltanto “imputato”.
Tale regola è meglio precisata nell’art. 6, comma 2, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in base alla quale:
Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente sino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.
Sulla base di questo principio, l’onere di provare la reità dell’imputato incombe sulla pubblica accusa, mentre alla difesa spetta il compito di provare l’esistenza di fatti favorevoli all’imputato. In altre parole, non è compito di quest’ultimo dimostrare la propria innocenza, che deve essere presunta, bensì dell’accusa dimostrare la sua colpevolezza.
Posta la presunzione di innocenza, per poter dichiarare pubblicamente che un individuo è colpevole è quindi necessaria la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, che egli è il responsabile del reato, dimostrando che ne è stato effettivamente l’autore. Nelle ipotesi in cui la prova manchi, sia insufficiente o contraddittoria, il giudice dovrà emettere sentenza di assoluzione.
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