
Sono trascorsi cinque anni dalla morte di Antonino Drago, giovane caporale dell’Esercito. Il suo corpo venne ritrovato la mattina del 6 luglio 2014 nel cortile della caserma “Sabatini” di Roma, ove prestava servizio.
Tony, così lo chiamavano gli amici, aveva una laurea in scienze dell’investigazione e il sogno di entrare in Polizia. Per tale motivo, dopo gli studi universitari, decise di svolgere un periodo di addestramento nell’esercito, prerequisito essenziale per accedere al concorso. Il 25enne siracusano, difatti, riuscì ad entrare nel corpo dell’esercito, rimanendoci per un anno. Fino a quella tragica notte a cavallo tra il 5 e il 6 luglio del 2014. Verso le prime luci dell’alba, i responsabili della caserma lo trovarono senza vita nel cortile della palazzina dove si trovano gli alloggi.
Secondo la ricostruzione effettuata dagli inquirenti, il ragazzo si sarebbe lanciato dalla finestra di un bagno, situato al terzo piano dello stabile. Il medico del 118 accorso sul posto parlò di decesso per precipitazione. Un suicidio, dunque. Diversi commilitoni, tra l’altro, raccontarono di un forte stato depressivo che attanagliava Tony nell’ultimo periodo. Un disagio di natura sentimentale a seguito della rottura con la fidanzata, che andò a sommarsi all’esito negativo del concorso per entrare in Polizia.
Per i vertici della caserma “Sabatini” non ci sono mai stati dubbi: una sedia posta sotto il davanzale di una finestra e il successivo lancio nel vuoto, non possono che confermare la volontà suicida del giovane.
La tesi del suicidio, però, non ha mai convinto gli amici e i familiari del ragazzo. Durante il corso delle indagini, infatti, sono emerse numerose incongruenze che hanno alimentato una serie di punti oscuri. Innanzitutto il corpo di Tony è stato rinvenuto a oltre cinque metri di distanza dal muro perimetrale della caserma, in posizione prona e con le braccia sul petto. Una posizione, questa, anomala in caso di suicidio. Senza considerare l’incompatibilità delle abrasioni sulle spalle con l’atto della precipitazione. Le fratture al cranio, inoltre, sembrerebbero non essere state provocate dall’impatto con il suolo.
Per tutte queste motivazioni è stato effettuato un esperimento giudiziale in una piscina di Catania, ricreando l’atto del suicidio: un tuffatore professionista si è lanciato da un trampolino di dieci metri, arrivando a poco più di tre metri di distanza. Da ciò è facile comprendere come i cinque metri che separavano il corpo di Tony dal muro perimetrale della caserma rappresentino un intervallo spaziale eccessivo.
Cosa è realmente successo quella notte?
Cercheremo di dimostrare che Tony è stato ucciso. Le ragioni dell’omicidio, pur rimanendo sconosciute, potrebbero essere maturate all’interno di quelle pratiche militari che danno vita ai fenomeni di nonnismo.
afferma il legale della famiglia Drago.
Ad avvalorare tale ipotesi, anche la confidenza che il giovane fece ad un amico un mese prima della morte. Tony aveva subito un violento pestaggio mentre si trovava in camera, al buio. Voleva denunciare i suoi aggressori, poiché li aveva riconosciuti dalla voce.
Ad aprile 2019, invece, il gip del Tribunale di Roma ha archiviato il procedimento penale che vedeva indagati otto militari per omicidio colposo in seguito alla morte del giovane caporale. La famiglia del militare siracusano non ha mai creduto alla tesi del suicidio. Il giudice ha concluso che:
Gli elementi ad oggi raccolti non possono ritenersi idonei a sostenere l’accusa in giudizio, non essendo stata neppure accertata la esatta dinamica dei fatti, che al limite avrebbe potuto fornire indicazioni su eventuali responsabilità concorrenti di natura colposa.
Dopo l’archiviazione del caso, i familiari di Tony Drago hanno presentato ricorso alla Corte Europea per i Diritti Umani. «Sappiamo che occorrerà molto tempo, ma ci giochiamo un’altra carta» ha dichiarato la sorella del giovane.
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