Di Cristina Casella
Sono ormai trascorsi 4 anni dalla morte di Marco Vannini, ma la verità sta lentamente facendosi strada. Questa terribile vicenda è entrata nelle nostre case in tutta la sua devastante drammaticità. Ogni coscienza ne è rimasta scossa. Sì, perché non si può che rimanere sgomenti, pensando ad una giovane vita spezzata senza un apparente motivo. Inconcepibile, soprattutto se l’epilogo più tragico poteva essere evitato. Non esistono timori o motivazioni, infatti, che possano giustificare quanto accaduto quella maledetta sera del 17 maggio. Il fragile castello di menzogne edificato dai Ciontoli, al fine di salvaguardare l’integrità familiare, si sta scomponendo poco a poco. Le tante contraddizioni stanno finalmente lasciando spazio ad evidenze inconfutabili.
Partiamo dai risultati dell’autopsia. Gli esami effettuati sul corpo del povero Marco confermano la causa della morte, ovvero shock emorragico. Non vi sono dubbi: se i soccorsi fossero stati allertati tempestivamente, il ragazzo si sarebbe salvato. La sequenza di telefonate al 118 – partita dalla villetta di Ladispoli – non lascia spazio a dubbi. Nella prima chiamata, effettuata alle 23:41, si chiede con urgenza l’invio di un’ambulanza: un giovane si è sentito male a causa di uno spavento. È molto pallido, non sta affatto bene. A condurre la conversazione con l’operatore del 118 è Federico Ciontoli. In sottofondo, si percepisce una voce femminile, la quale interviene nel corso della telefonata specificando che l’invio del mezzo di soccorso non è più necessario. A mezzanotte e sei minuti – circa mezz’ora dopo la prima chiamata – ne parte un’altra. Questa volta è proprio il capofamiglia, Antonio Ciontoli, a parlare in prima persona. Lo scenario cambia palesemente. Qui di seguito riportiamo il contenuto dello scambio telefonico:
Operatore 118: «118 romana, salve, buonasera…»
Antonio Ciontoli: «Buonasera, senta c’è un’emergenza a via Alcide De Gasperi, a Ladispoli.»
Operatore 118: «Allora, via Alcide De Gasperi…»
Antonio Ciontoli: «Sì.»
Operatore 118: «Ladispoli, eh?»
Antonio Ciontoli: «Sì.»
* In sottofondo, si odono i lamenti di Marco
Operatore 118: «Alcide…»
Antonio Ciontoli: «Senta, se vuole lo porto io all’Aurelia Hospital…»
Operatore 118: «Perché? Se mi chiede un’ambulanza gliela sto attivando…perché poi mi dice che vuole portarlo lei da solo?»
Antonio Ciontoli: «Per i tempi più che altro…»
Operatore 118: «I tempi…»
* Marco grida: “Basta”
Operatore 118: «…sono brevissimi, se mi dà il tempo di scriverlo, almeno. Allora, mi dia un cognome sul citofono, che c’è scritto?»
Antonio Ciontoli: «Ciontoli»
Operatore 118: «Ciontoli, quanti anni ha? Che problemi ha?»
Antonio Ciontoli: «Lui ha 20 anni. Un infortunio praticamente…in vasca. Si è…»
Operatore 118: «È caduto?»
Antonio Ciontoli: «Sì, praticamente si è…è caduto e si è bucato un pochino, con un…come si chiama…il pettine, quello a punta.»
Operatore 118: «E quindi cosa si è fatto?»
Antonio Ciontoli: «E niente, sul braccio…si è bucato, si è messo paura, un panico…»
* Marco continua a lamentarsi
Operatore 118: «Sento che si lamenta…»
Antonio Ciontoli: «Eh sì, infatti…»
Operatore 118: «Ma scusi, chiedo venia, è diversamente abile?»
Antonio Ciontoli: «No, no.»
Operatore 118: «No, perché sento una voce un po’ strana…il nome?»
Antonio Ciontoli: «Eh no…si è impaurito, è andato in panico…»
Operatore 118: «Il nome qual è?»
Antonio Ciontoli: «Marco Vannini.»
Operatore 118: «Può darsi anche che l’ambulanza, praticamente, lo disinfetti…allora, dipende da…»
Antonio Ciontoli: «Ah beh, certo, è chiaro…»
Operatore 118: «C’è uno squarcio? C’è un taglio? Cosa c’è?»
Antonio Ciontoli: «C’è un buchino…»
Operatore 118: «Un buchino?»
Antonio Ciontoli: «È andato in panico e…»
* Marco urla “Ti prego, basta, ti prego. Scusa, basta”
Operatore 118: «Sta urlando, ma si è sentito male?»
Antonio Ciontoli: «Eh sì, è andato in panico…»
Operatore 118: «Ok, le sto attivando un’ambulanza, va bene?»
Antonio Ciontoli: «Ok, grazie…»
Le urla di Marco sono strazianti. La gravità della situazione appare chiara anche all’operatrice dall’altro capo del telefono. Ciontoli, però, minimizza, omettendo la causa effettiva del ferimento.
Soltanto sul tavolo di una sala operatoria si scoprirà che il ragazzo è stato raggiunto da un colpo d’arma da fuoco. Il proiettile, passato da sotto un braccio, gli ha perforato un polmone trapassando addirittura il cuore. Ed è stato proprio Ciontoli ad esplodere il colpo.
Un incidente, aveva raccontato inizialmente, poi una tragica fatalità.
«Marco stava facendo la doccia, sono entrato in bagno perché mi ero ricordato di aver lasciato lì le pistole, riposte in un armadietto. Marco aveva una vera e propria passione per le armi, infatti temevo che potesse prenderle. Anzi, ero certo potesse trovarle. Così, quando mi ha visto in bagno, mi ha chiesto di fargli vedere le pistole. Insisteva, allora per fargli uno scherzo gliene ho puntata una contro. Ho scarrellato e premuto il grilletto dicendogli “ti sparo”. Ero certo che l’arma fosse scarica. Marco ha urlato, non mi sono reso conto di cosa fosse accaduto. Ero shockato. La ferita era piccola, non sanguinava, ho cercato quindi di tamponarla. Martina, mia figlia, è subito corsa in bagno, ma l’ho tranquillizzata. Nel frattempo ho lavato Marco, aveva ancora il sapone addosso. Non c’era sangue. Poi sono arrivati anche mia moglie e Federico con la sua fidanzata. Abbiamo spostato Marco su un letto, in camera. Lo abbiamo rivestito ed asciugato. Nessuno in casa si era reso conto di cosa fosse successo, io stesso non capivo bene. Ero sotto shock. Non mi sembrava che si trattasse di una ferita grave. Ho chiamato il 118 un quarto d’ora dopo la telefonata fatta da Federico. Lui, a quel punto, è andato in bagno e ha trovato un bossolo. Ha capito che era successo qualcosa. Abbiamo portato Marco al piano di sotto per evitare ai soccorritori di perdere tempo. Non ho detto a nessuno la verità, ero davvero shockato, amavo Marco come un figlio. Quando è arrivata l’ambulanza l’abbiamo seguita con due macchine. Con me c’era Federico, così gli ho raccontato dell’incidente. Appena giunti al Pronto Soccorso di Ladispoli lui si è allarmato e mi ha detto di correre dentro a raccontare quanto accaduto.»
Questa è la dichiarazione rilasciata da Antonio Ciontoli agli inquirenti. Una versione che non trova corrispondenza nella realtà dei fatti.
Se si esplode un colpo d’arma da fuoco all’interno di un’abitazione, è assai improbabile che esso non venga percepito da chi vi si trova in quel momento. Un militare come Ciontoli, membro dei Servizi Segreti, non può avere poca dimestichezza con le armi. Lo scarrellamento, tra l’altro, è quell’operazione con la quale si arretra il carrello oscuratore della pistola. Ciò consente di espellere eventuali cartucce rimaste all’interno e di controllare che la camera di cartuccia sia libera.
I risultati relativi allo stub hanno evidenziato tracce di polvere da sparo anche su Federico e Martina, i due figli di Ciontoli. La quantità rinvenuta lascia pensare che i due soggetti fossero anch’essi presenti al momento dell’esplosione del colpo. Circostanza, questa, inedita rispetto a quanto raccontato.
Perché ritardare in maniera così eclatante i soccorsi? Stato confusionale a seguito di un forte sconvolgimento? O primario interesse nel salvaguardare sé stessi, allestendo una messa in scena? Può, Marco, aver visto qualcosa di scomodo? E che fine hanno fatto i suoi vestiti? Davvero troppe le incongruenze, così come le menzogne.
I fatti sono andati in un altro modo, lo testimoniano le intercettazioni ambientali registrate all’interno della Caserma. Marco è morto da poche ore. I Ciontoli – in attesa di essere interrogati – si accordano sulle versioni da raccontare ai Carabinieri. È la stessa Martina, rivolgendosi al fratello e alla sua fidanzata, ad affermare che è stato proprio Antonio Ciontoli ad esplodere il colpo verso Marco. La giovane sembra preoccuparsi unicamente delle sorti del padre. A quanto pare, l’amore auto-diretto non riesce a far chinare il capo nemmeno dinanzi ad una tragedia così immane.
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