
Primo di otto figli, Michele Navarra nasce il 5 Gennaio 1905 a Corleone il in una famiglia agiata. Il padre Giuseppe, piccolo proprietario terriero e membro del Circolo dei nobili del paese, fa il geometra e insegna nella locale scuola agraria; lo zio materno, Angelo Gagliano, è un mafioso corleonese che viene assassinato nel 1930; anche suo cugino, Angelo Di Carlo, è un criminale che nel 1926 è costretto ad emigrare negli Stati Uniti per sfuggire alla repressione del prefetto Cesare Mori.
Nonostante avesse un carattere ribelle e incline alla spavalderia, Navarra si applica con profitto negli studi tanto da arrivare a laurearsi in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Palermo nel 1929. In seguito presta servizio militare a Trieste come medico ausiliario e nel 1942 ottiene il congedo definitivo con il grado di Capitano.
Finita la guerra, nel 1945 suo cugino Angelo Di Carlo torna in patria dopo aver combattuto nei Marines e sceglie Michele per guidare la locale cosca mafiosa al posto di don Calogero Lo Bue, considerato ormai “non adeguato ai nuovi tempi”. Di Carlo e Navarra riescono ad anticipare le mosse del mafioso corleonese Vincenzo Collura, detto Mister Vincent, che, rientrato dagli Stati Uniti per prendere le redini della cosca, è costretto a rinunciare e ad accontentarsi del ruolo di vicecapo. Dopo essere divenuto il boss più potente dei Corleonesi, Navarra fa uccidere Liborio Ansalone, comandante dei vigili urbani locali, che nel 1926 aveva lavorato con gli uomini del prefetto Mori facendo arrestare numerosi mafiosi del paesino siciliano.
Nell’immediato dopoguerra è medico condotto, medico fiduciario dell’INAM e caporeparto di Medicina interna presso l’ospedale di Corleone. Nel 1946 Carmelo Nicolosi, direttore del nosocomio, viene ammazzato (resta un mistero chi l’abbia ucciso) ed è proprio Navarra a prendere il comando della struttura, prima come reggente e dal 1948 come titolare. Successivamente aderisce al Movimento Indipendentista Siciliano e, grazie alla raccolta degli automezzi militari abbandonati dall’AMGOT (il governo militare alleato), costituisce insieme al fratello una società di autolinee che nel 1947 viene rilevata dalla Regione Sicilia e assorbita dall’Azienda Siciliana Trasporti. In quel periodo il mafioso controlla anche il settore politico-economico tramite i voti: inizialmente li fa confluire nel Movimento Indipendentista Siciliano, poi verso la Democrazia Cristiana.
Il 10 Marzo 1948 il Segretario della Camera del Lavoro locale Placido Rizzotto scompare nel nulla. L’uomo viene attirato in trappola da Pasquale Criscione, suo compagno nel sindacato e affiliato alla cosca di Michele Navarra. Rizzotto, durante una rissa scoppiata nella piazza centrale del paese tra sindacalisti e mafiosi, aveva osato sollevare Luciano Liggio e appenderlo all’inferriata della villa comunale, umiliandolo in pubblico.
La notte in cui avviene l’omicidio del sindacalista, un pastorello di soli 12 anni, Giuseppe Letizia, si trova nelle campagne del feudo Malvello di Corleone ad accudire le sue pecore. Il giorno seguente viene trovato in stato confusionale dal padre, che lo porta all’ospedale proprio da Navarra. Lì, il ragazzino, in preda alla febbre alta, racconta di un contadino barbaramente assassinato la notte prima. Curato con un’iniezione, muore ufficialmente per tossicosi, sebbene gli investigatori ritengano che gli sia stato somministrato del veleno per metterlo a tacere definitivamente. Per questo motivo, tra il 1948 e il 1949, il capomafia viene inviato al confino di polizia nel territorio di Gioiosa Jonica, dove le ‘ndrine locali lo definiscono “medico d’onore” e i boss della ‘ndrangheta fanno a gara per poterlo incontrare e imparare da lui.
Nel frattempo, Liggio costituisce una sua società di autotrasporti ed entra a far parte della vecchia società armentizia di Piano della Scala con l’obiettivo di partecipare alla costruzione della diga che avrebbe irrigato oltre centomila ettari di terra. Un progetto enorme con a capo il Principe di Giardinelli, uomo di punta del Partito Liberale Italiano alle elezioni del 1958.
Navarra è assolutamente contrario alla costruzione della diga perché porterebbe l’acqua oltre i monti, facendogli perdere il controllo dei pozzi e quindi delle campagne. Inoltre, nonostante Angelo Vintaloro avesse chiesto e ottenuto la protezione del boss, una notte di maggio Lucianeddu distrugge tutte le botti della sua cantina. Come se non bastasse, a giugno il grano matura ma nessun contadino miete il raccolto, così una notte viene mietuto clandestinamente e caricato sui camion di Liggio.
É la goccia che fa traboccare il vaso, l’autorità del capomafia soprannominato U Patri nostro viene messa definitivamente in discussione. Se non vuole perdere il suo potere, Navarra deve dare un segnale forte. Il 23 Giugno 1958, nella tenuta di Vintaloro, alcuni picciotti tendono un’imboscata a Liggio per ammazzarlo: si scatena l’inferno, volano pallottole in ogni direzione. Lucianeddu risponde al fuoco, viene ferito, ma riesce a salvarsi.
Il 2 Agosto 1958 il padrino sta rientrando nella sua Corleone a bordo di una Fiat 1100 nera insieme al giovane medico Giovanni Russo, totalmente estraneo a qualunque fatto criminale. Verso le 15.30, in una zona rurale del Comune di Prizzi, l’auto viene investita da una pioggia di proiettili e poi gettata in una scarpata: a terra vengono rinvenuti 124 bossoli e nel corpo di Navarra 94 pallottole esplose da tre pistole automatiche, un mitragliatore Thompson e un mitra calibro 6.35. Luciano Liggio è riuscito ad eliminare il boss da tutti temuto e riverito, lo scettro del più forte adesso è suo.
Due giorni dopo, viene proclamato il lutto cittadino e nella chiesa di San Martino di Corleone vengono celebrati i funerali del padrino. In paese arrivano mafiosi da tutta la Sicilia. Per l’omicidio di Navarra, Liggio è stato condannato all’ergastolo.
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