
Arruolatosi volontario nell’Arma dei Carabinieri il 15 agosto 1939, divenne carabiniere il 15 gennaio 1940. Il 28 ottobre dello stesso anno venne mobilitato con la 608a Sezione Carabinieri e sbarcò a Tripoli il 23 novembre successivo. Tornato in Patria, dal 13 settembre 1942 fu aggregato alla Scuola Centrale Carabinieri di Firenze dove frequentò il corso accelerato per la promozione a vice brigadiere, grado che conseguì il 15 dicembre successivo. Una settimana dopo venne destinato alla stazione di Torrimpietra, una borgata a 30 km da Roma.
Dopo l’8 settembre 1943, a seguito dei combattimenti alle porte della Capitale, un reparto delle SS si era installato nel territorio della Stazione di Torrimpietra, occupando una caserma della Guardia di Finanza abbandonata e sita nella Torre di Palidoro, borgata limitrofa a Torrimpietra. In tale caserma, la sera del 22 settembre di quello stesso anno, alcuni soldati tedeschi, rovistando in una cassa abbandonata, provocarono lo scoppio di una bomba a mano: uno dei militari rimase ucciso ed altri due furono gravemente feriti. Il fortuito episodio fu interpretato dai tedeschi come un attentato.
Il mattino successivo, il comandante del reparto si diresse alla Stazione di Torrimpietra per ricercarvi il comandante. Vi trovò, in assenza del maresciallo titolare della stazione, il vice brigadiere Salvo D’Acquisto, al quale chiese perentoriamente di individuare i responsabili dell’accaduto. Alle argomentazioni del giovane sottufficiale, che cercò inutilmente di convincerlo della casualità del tragico episodio, l’ufficiale tedesco decise la rappresaglia. Poco dopo, Torrimpietra fu tutta accerchiata e 22 inermi ed innocenti cittadini furono rastrellati, caricati su di un autocarro e trasportati ai piedi della Torre di Palidoro.
Il vice brigadiere, consapevole della tragica situazione incombente sugli ostaggi, ancora una volta affrontò il comandante delle SS per rinnovare il tentativo di portarlo ad una obiettiva valutazione dei fatti. Nuovamente al giovane sottufficiale venne richiesto di indicare i responsabili del presunto attentato, ma la sua risoluta risposta negativa comportò una irragionevole e spietata reazione. Gli ostaggi vennero obbligati a scavarsi una fossa comune, chi con le pale portate dagli stessi militari, chi con le mani. A questo punto, Salvo D’Acquisto si autoaccusò responsabile dell’attentato e chiese la liberazione degli ostaggi, che ebbe luogo precedendo di poco l’istante in cui egli offrì il petto alla scarica del plotone d’esecuzione nazista.

Nel rapporto del 25 gennaio 1945 n. 20/7-11 di protocollo riservato, inviato dal comandante della Legione di Roma al Comando Generale dell’Arma, si legge che la sera del giorno dell’esecuzione di Salvo D’Acquisto alcuni militari tedeschi, parlando con una giovane del luogo, affermarono che il sottufficiale era “morto da eroe, impassibile di fronte alla morte”.
Il Luogotenente Generale del Regno, con Decreto Motu Proprio del 25 febbraio 1945, conferì alla Memoria del vice brigadiere la Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:
Esempio luminoso di altruismo, spinto fino alla suprema rinunzia della vita, sul luogo stesso del supplizio, dove, per barbara rappresaglia, era stato condotto dalle orde naziste, insieme con 22 ostaggi civili del territorio della sua stazione, pur essi innocenti, non esitava a dichiararsi unico responsabile d’un presunto attentato contro le forze armate tedesche. Affrontava così, da solo, impavido la morte, imponendosi al rispetto dei suoi stessi carnefici e scrivendo una nuova pagina indelebile di purissimo eroismo nella storia gloriosa dell’Arma.
Il 4 novembre 1983, nella sede dell’Ordinariato Militare, si è insediato il Tribunale Ecclesiastico chiamato a decidere nella causa di canonizzazione del vice brigadiere dei Carabinieri Salvo D’Acquisto.

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