La strage di via Caravaggio, 39 anni dopo. Tra verità nascoste e presunti depistaggi, colpi di scena e verdetti contraddittori, torna alla ribalta quella che fu un’indagine complessa e delicata: l’inchiesta sul massacro di tre persone ed un cagnolino. Tanti i punti oscuri della vicenda, anche alla luce degli ultimi sviluppi investigativi culminati nella riapertura del caso e della ricerca del DNA su alcuni reperti.
Un primo esposto, risalente al 9 ottobre 2011, porta la Procura di Napoli a riaprire il caso. A spedirlo è qualcuno che conosce molte cose, che sa come si svolsero le difficili indagini che portarono a fare di Domenico Zarrelli il solo indiziato, in seguito imputato per il plurimo omicidio. Ma per quale motivo si è deciso a spedire l’esposto, solo 37 anni dopo i fatti e perché un secondo soggetto anonimo, firmandosi «Blue Angel», invia al quotidiano Il Mattino una lettera che a suo dire sarebbe già in possesso da un anno e tre mesi dei pm che hanno riaperto il fascicolo sulla strage. Una cosa appare chiara: gli autori delle due lettere non sono gli stessi ed i contenuti di entrambe spingono verso direzioni opposte.
Quando morì, Angela – figlia di Domenico Santangelo, che poi aveva sposato in seconde nozze Gemma Cenname – aveva solo 19 anni. Era una ragazza solare, non aveva nemici e tutti le volevano bene. Eppure il secondo anonimo sostiene che la strage sarebbe stata originata proprio dalle attenzioni morbose di un uomo 20 anni più grande di lei – noto professionista membro di un’importante famiglia napoletana – del quale la povera ragazza sarebbe rimasta incinta. Circostanza questa smentita dall’autopsia svolta, all’epoca dei fatti, dal professor Zancani.
La giovane avrebbe annotato tutto in un diario mai ritrovato. Esisteva davvero quell’agenda? E se esisteva, che fine ha fatto?
Le vittime, stando alla ricostruzione del medico legale, vennero prima stordite con un corpo contundente e poi sgozzate, ma né il coltello né il pesante oggetto che colpì il capo di Gemma, Domenico ed Angela venne mai ritrovato. L’anonimo che ha inviato la sua missiva al giornale napoletano sostiene di sapere dove l’assassino gettò gli oggetti usati durante la mattanza: “Chi ha ucciso ha usato prima la statuina in bronzo raffigurante una dea bendata con basamento in marmo, poi un coltellaccio da cucina. Statuina e coltello sono ancora lì”, dice, indicando con precisione la strada ed il luogo.
Come fa a saperlo? Sono stati svolti accertamenti mirati in quel luogo?
L’unico dato certo, nella ricostruzione dei fatti risalenti a 39 anni fa, è il tempo trascorso. Tanto, troppo. Oggi, purtroppo, la ricerca di molti riscontri risulta impossibile. Molti dei protagonisti, collegati alla triste vicenda, sono morti: i due soggetti che potevano rappresentare le cosiddette piste alternative e alcuni degli investigatori che svolsero le indagini.
C’è poco da fare, il massacro di via Caravaggio rischia di restare un delitto impunito.
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