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Ti trovi qui: Home / Delitti & Biografie Criminali / La storia di Maria Luigia Redoli, la Circe della Versilia

La storia di Maria Luigia Redoli, la Circe della Versilia

28 Gennaio 2020 da Webmaster Lascia un commento

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Maria Luigia Redoli nasce a Torino nel 1939 da genitori toscani. Dopo il liceo classico si iscrive a Medicina, ma dopo pochi esami abbandona gli studi. Sa di essere bella ed è sicura che la sua bellezza le permetterà di sposare un uomo ricco che le farà fare la bella vita. Mal che vada, come lei stessa ripeteva, si troverà un amante.

La famiglia, dopo il pensionamento del padre, torna a vivere in Toscana ed è li che ad appena 20 anni conosce Luciano Iacopi, un agente immobiliare 20 anni più grande di lei, che la corteggia e dopo poco la sposa. Dal matrimonio nascono due figli Tamara e Diego (che si scoprirà non essere figli di Iacopi, ma di uno dei suoi amanti), ma dopo pochi anni il rapporto inizia a vacillare. I due, infatti, iniziano a vivere da separati in casa e a collezionare tradimenti, fingendo reciprocamente di non sapere.

Siamo nell’estate del 1989, Maria Luigia ha 50 anni ed è ancora una donna avvenente: capelli corti platinati, pelle abbronzata, temperamento forte e carattere esuberante. Le piace farsi notare e stare al centro dell’attenzione, basti pensare che al funerale del marito indossa una gonna corta e attillata dalla stampa leopardata. Inoltre, si circonda di maghi e cartomanti (passioni trasmesse alla figlia) a cui commissiona fatture di morte che hanno come oggetto proprio il marito. Il suo matrimonio ormai è alla frutta e non vede l’ora di essere libera: vuole godersi i soldi del consorte insieme al giovane amante di turno: Carlo Cappelletti, ex carabiniere a cavallo di 23 anni, bello e aitante, che la donna ostenta pubblicamente e senza pudore.

È la sera del 16 luglio 1989, Maria Luigia e Carlo, insieme a Tamara e Diego (all’epoca 16 e 14 anni), cenano all’Hotel Santo Domingo poi vanno a ballare alla Bussola di Focette. Rincasano a notte fonda e nel garage di casa trovano il cadavere di Iacopi in un lago di sangue, massacrato da 17 coltellate.

Inizialmente i sospetti degli inquirenti, grazie anche ai depistaggi della stessa Redoli, si concentrano sulle attività e le conoscenze della vittima. Pare, infatti, che il patrimonio immobiliare (ville, garage, locali, negozi e svariati immobili) e i circa 8 miliardi depositati su vari conti fossero frutto anche dell’attività di strozzinaggio che l’uomo avrebbe praticato. Ci vorranno quasi 3 settimane per venirne a capo: il 5 agosto scattano le manette per lei e Cappelletti.

Nel 1990 inizia il processo di primo grado. Un processo “teatrale” per molti aspetti: la Redoli, sempre vistosa, non perde il suo carattere forte e si difende dalle accuse con il piglio di una leonessa, tanto che l’opinione pubblica la ribattezza la Circe della Versilia. Sfilano davanti al giudice le cartomanti e i maghi che la donna frequentava quotidianamente. Tra questi ce n’è uno che, dopo il fallimento della fattura di morte, si sarebbe impegnato a trovarle un killer per uccidere il marito e che, per questo, avrebbe ricevuto 15 milioni di lire. Viene chiamata in causa anche Tamara, nella cui stanza viene trovata una foto dell’odiato padre, bucata con degli spilli.

Il processo di primo grado si conclude con la madre di Cappelletti (stessa età della Redoli) che urla:

Maledetto il giorno in cui mio figlio ti ha incontrata!

E con l’assoluzione dei due amanti, per insufficienza di prove. Negli otto mesi di libertà i due amanti vanno a vivere in una casa di proprietà di Iacopi e la Redoli ne approfitta per vendere il suo memoriale ad un giornale che lo pubblica a puntate.

La libertà dura poco: la Corte d’Assise d’Appello di Firenze, ritenendo il materiale processuale insufficiente per l’assoluzione, ordina la riapertura del processo. L’elemento che determina la colpevolezza dei due è una chiave. La porta del garage incriminato era stata chiusa con quattro mandate, utilizzando una chiave di cui esistevano solo due copie: una in uso a Luciano Iacopi, che fu ritrovata in casa, e l’altra in uso alla Redoli. Non potendo essere stato lui a chiudere la porta, doveva essere stata per forza la donna. Successivamente, ad aggravare la posizione della coppia, fu il rinvenimento di alcune macchie di sangue della vittima sulla maniglia della porta e in casa: dopo il delitto, i due erano andati al piano di sopra a ripulirsi per poi tornare in discoteca e ballare fino a notte fonda, in maniera tale da crearsi un alibi.

In Appello arriva la condanna all’ergastolo, pena confermata il 24 Settembre 1991 in Cassazione. Alla lettura della sentenza – “Fine pena mai” – Cappelletti sfila la pistola a un militare, inizia a sparare all’impazzata e cerca di scappare buttandosi dalla finestra.

Dietro le sbarre la donna si dedica all’assistenza ai disabili e beneficia del regime di semilibertà. Nel 2009, grazie alla sua grande carica seduttiva che non l’ha mai abbandonata, si sposa per la seconda volta. Nel 2012 fa richiesta di grazia al Presidente della Repubblica, ma la stessa viene rigettata. Dopo 24 anni di carcere, Maria Luigia Redoli torna ad essere una donna libera. Muore nel 2019 per complicazioni renali. Si è dichiarata innocente fino all’ultimo istante della sua vita, di seguito le sue parole in una delle ultime interviste:

Mi avete chiamata Circe ma non sono una strega, l’unico maleficio l’ho fatto a me stessa.

© Riproduzione riservata

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