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Ti trovi qui: Home / Delitti & Biografie Criminali / Il Delitto della Cattolica, l’Omicidio di Simonetta Ferrero resta senza Colpevole

Il Delitto della Cattolica, l’Omicidio di Simonetta Ferrero resta senza Colpevole

2 Dicembre 2020 da Webmaster Lascia un commento

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Di Grazia Sarnataro

Gli Anni di Piombo rappresentano un periodo storico assai delicato durante il quale, oltre al terrorismo, alla lotta armata e agli scontri di piazza, si consuma uno dei più crudeli e misteriosi delitti irrisolti italiani: l’omicidio di Simonetta Ferrero ricordato come il Delitto della Cattolica.

Simonetta Ferrero, nasce a Serravalle Sesia il 2 Aprile 1945, seconda di tre figlie. La sua è una famiglia cattolica piemontese alquanto benestante e abita con i genitori a Milano. Si laurea nel 1969 in Scienze politiche alla Cattolica di Milano e l’anno successivo, grazie alla raccomandazione del padre, dirigente della Montedison, viene assunta come Responsabile della selezione del personale per la stessa azienda. Nel tempo libero si dedica al volontariato nella Croce Rossa. Conduce una vita tranquilla, nessuna relazione in corso o recente né frequentazioni equivoche.

È il 24 Luglio 1971, mancano pochi giorni alle ferie che Simonetta trascorrerà in Corsica con la sua famiglia. La ragazza esce di casa, dicendo che sarebbe tornata per le 13:00. Si reca prima in una tappezzeria di corso Vercelli, poi prosegue verso Corso Magenta per acquistare un dizionario e in via Carducci, dove acquista alcuni articoli di profumeria. Infine, raggiunge la facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, probabilmente perché un’amica le ha chiesto di procurarle alcuni opuscoli. La ragazza non fa ritorno a casa, la famiglia allarmata chiama la polizia che inizia subito le ricerche, ma passano due giorni prima di scoprire la verità.

26 Luglio, ore 9:00 circa. Mario Toso, 21 anni, seminarista e studente di Filosofia nell’ateneo (oggi vescovo e docente universitario), dopo aver partecipato alla messa, mentre si reca alla segreteria degli Istituti religiosi tramite le scale del blocco G (il più distante dall’entrata di largo Gemelli), sente provenire dal bagno delle donne un forte scrosciare d’acqua. Vince l’imbarazzo ed entra. La scena che gli si presenta davanti agli occhi è terrificante: sangue ovunque, sul pavimento, sulle pareti, sul lavandino, sulla maniglia della porta. A terra distesa sul fianco destro, con il vestito sollevato sulle cosce e le braccia aperte, giace Simonetta.

Il giovane urla e corre dal portiere che subito chiama le forze dell’ordine. Il riconoscimento del corpo viene affidato a due lontani parenti perché alla tragica notizia il padre viene colpito da due infarti e la madre collassa. L’autopsia, eseguita il 28 Luglio presso l’Istituto di Medicina Legale e delle Assicurazioni da parte dei professori Guglielmo Falzi e Giuseppe Basile, rivela che Simonetta è stata colpita da 33 coltellate: 27 su torace e addome, che hanno leso gli organi vitali, e 7 mortali, una delle quali ha reciso in due la carotide. La ragazza si è difesa strenuamente perché sotto alle unghie ci sono tracce di pelle e di un gruppo sanguigno diverso, il che significa che ha graffiato il suo aggressore. L’arma del delitto probabilmente è un lungo coltello sicuramente portato lì apposta.

Il 29 Luglio si svolgono i funerali celebrati dallo zio, il monsignore Carlo Ferrero, ai quali partecipano molte persone in vista della società milanese vicine alla famiglia. Le indagini vengono seguite dal commissario Antonino Orlando, il movente della rapina e dello stupro vengono subito scartati in quanto Simonetta ha ancora indosso sia alcuni gioielli di valore che la biancheria intima, nella sua borsetta ci sono i soldi e alcuni franchi cambiati alcuni giorni prima.

In prima battuta i sospetti ricadono sullo stesso Mario Toso, ma l’uomo non presenta graffi che lascino pensare alla lotta con la vittima, quindi la pista viene abbandonata. Si indaga tra potenziali ammiratori e candidati respinti ai colloqui, ma non emerge nulla. Di sicuro c’è che quel giorno l’omicida ha potuto contare sul fatto che l’ateneo fosse semideserto e che fossero presenti degli operai che eseguivano alcuni lavori di ristrutturazione. Circostanza che permette di stabilire che la morte della ragazza sia avvenuta tra le 11:00 e le 12:00 poiché le urla sarebbero state coperte dal rumore del martello pneumatico. Dei presenti, interrogati sul posto quella mattina, nessuno ha visto né sentito niente e risultano tutti estranei ai fatti.

Il 2 Agosto gli inquirenti stabiliscono che l’assassino ha avuto il tempo per cambiare abito, lavarsi dal sangue della vittima e lasciare l’università. Il 4 Agosto la facoltà viene perquisita e vengono sequestrati un fazzoletto, uno straccio ed un indumento blu ma non vi trovano tracce di sangue. Si batte quindi la pista del maniaco sessuale. Il portiere dell’ateneo dichiara di aver notato un uomo in giacca e cravatta (circostanza strana, considerando il caldo) seduto al sole su una panchina, che non sembrava essere uno studente, ma l’uomo non sarà mai identificato. La commessa della profumeria, in concomitanza con l’arrivo di Simonetta, dice di aver notato una Fiat 500 bianca fuori al negozio con una persona a bordo che sembrava aspettasse qualcuno, ma non sa dire se la giovane sia salita a bordo o meno.

Le indagini intanto proseguono, la Squadra Mobile riceve la segnalazione di una donna che parla di un ragazzo alto e robusto, dall’aspetto trasandato e dal comportamento ambiguo, che pare giri con un lungo coltello in borsa. Viene individuato in un certo Giuseppe, seminarista, ma nella borsa non ha coltelli, solo diari pieni di parole come “sangue”, “coltelli, asce e accette” e frasi come “andare per ammazzare” oppure “odio le donne”. Trovano gli stessi diari anche nella sua abitazione ma, quando lo interrogano, si accorgono che si tratta di un soggetto mentalmente instabile. Viene così ricoverato all’Ospedale Maggiore ed escluso dall’inchiesta.

Del delitto non si parla più fino al 1994, quando al prefetto di Milano Achille Serra arriva una lettera – siglata T.B. – in cui c’è scritto che un padre spirituale dell’università Cattolica, poco dopo il Luglio del 1971, aveva molestato un’amica dell’anonimo scrivente e che, per questo motivo, era stato licenziato dall’Ateneo. Serra fa pubblicare la lettera dai giornali sperando di far luce sul caso, anche perché solo una persona interna all’università avrebbe potuto trovare gli abiti e il modo di cambiarsi. Questo sacerdote, purtroppo, non sarà mai individuato perché la documentazione dell’epoca fu distrutta.

Tra le piste che non sono state battute c’è quella del serial killer: a Milano tra il 1970 ed il 1975 muoiono, uccise a coltellate, 11 donne. Che sia proprio questa la pista giusta? In una Milano cupa, violenta e in subbuglio, il delitto resta irrisolto, senza il benché minimo spiraglio di luce. Ieri come oggi.

© Riproduzione riservata

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