
José Saramago scriveva: “La vita è tutta fatta di coincidenze”, mai incipit fu più appropriato per raccontare la storia di Pia Bellentani. Una storia in cui il caso la fa da padrone.
Pia Caroselli, ultima di sei figli, nasce a Sulmona il 29 Gennaio 1916 da Romeo e Nazarena Jannamorelli, contadina e operaia che aveva lasciato il lavoro per occuparsi della famiglia. Viene educata in una scuola di suore secondo i principi cattolici, ama leggere, scrive poesie d’amore e come tutte le adolescenti sogna il principe azzurro. Si innamora di un avvocato di Sulmona, ma i genitori sono contrari all’unione e lei acconsente senza chiedere spiegazioni.
Intanto gli anni passano, Pia non è più una ragazzina, ha un carattere orgoglioso e taciturno ed è molto bella: occhi azzurri, capelli corvini e portamento altero ed elegante. Ha molti corteggiatori, ma rifugge gli sguardi ammirati: lei vuole la favola. La famiglia ha raggiunto una buona posizione economica facendo fortuna in campo edile e può permettersi lussi all’epoca concessi a pochi, tipo le vacanze in posti da sogno. Sarà proprio una vacanza a Cortina ad essere decisiva nella sua vita.
Pia ha 22 anni e durante una cena all’Hotel Cristallo viene notata da Lamberto Bellentani, scapolo 40enne, industriale nel campo dei salumi. L’uomo, che ha perso da poco l’adorata madre, è afflitto dal complesso di Edipo e resta molto colpito da Pia che gli ricorda proprio sua mamma. A questo punto entra in gioco il caso: quando gli dicono che si chiama Pia come sua madre, gli sembra un chiaro segno del destino. Il giorno dopo torna all’Hotel Cristallo per conoscerla, ma niente da fare: è già partita. Una settimana dopo Lamberto si trova a Milano, ma non riesce proprio a togliersela dalla testa.

Ne parla a un suo amico banchiere di Sulmona ed ecco che ancora una volta il caso ci mette lo zampino: si tratta proprio dello zio di Pia. Viene così organizzato un incontro a Sulmona, Lamberto chiede la mano di Pia e i genitori acconsentono. Certo, la differenza d’età è evidente. Inoltre Lamberto non è propriamente un adone ma è galante e gentile e tutto l’intreccio di coincidenze fa sentire Pia come l’eroina di uno dei suoi amati romanzi.
Si sposano il 15 Luglio 1938 con una cerimonia sfarzosa e Pia diventa la Contessa Bellentani. Gli sposi vanno a vivere in Emilia, quartier generale di Lamberto, fanno vita mondana e sono presenti su tutti i rotocalchi e le cronache dell’epoca. Dal matrimonio nascono due figlie Stefania e Flavia, Pia si dedica molto a loro ma è profondamente infelice e annoiata, si chiude spesso in se stessa ed è sempre triste. Nel 1941, durante la guerra si trasferiscono a Cernobbio sul Lago di Como e, tramite amicizie comuni, entra in scena l’uomo che le ruberà il cuore: Carlo Sacchi. Partito dal nulla e diventato industriale nel commercio della seta, Sacchi è sposato con la ex ballerina Lilian Willinser ed è padre di tre figlie.

È abbastanza rozzo e non ha certo la classe di Lamberto, ma ha una vitalità impressionante e le sue attenzioni fanno capitolare Pia che si innamora subito. Si tratta però di un amore a senso unico. Sacchi, infatti, colleziona amanti con le quali intreccia più relazioni contemporaneamente, il tutto sotto il naso della moglie che sa e tollera.
Pia gli scrive lettere e poesie, si sente rinata. Dopo un anno, però, lui è già stanco della relazione (che tra alti e bassi dura 8 anni) mentre Pia tenta in ogni modo di salvarla. Una volta finita la guerra, Sacchi ricomincia a passare da una donna all’altra. Pia è disperata, gli scrive, lo minaccia, lo lascia e poi torna sui suoi passi. L’uomo inizia a trattarla male, la offende, la umilia, le rivolge appellativi sgradevoli come “terrona”. Lei passa spesso le giornate in camera al buio trascurando le figlie, sotto gli occhi del marito che non capisce o non vuol capire. Intanto Sacchi ha iniziato una nuova relazione con Sandra Guidi, detta Mimì, una donna separata che attende il divorzio per andare a vivere con Carlo in Sud America, è più anziana di Pia e non è bella come lei ma ha una grande carica vitale e non lo opprime con la gelosia. I due vengono fotografati in tutte le località alla moda. Pia, disperata, si lancia sotto alla sua auto con una motoretta e resta illesa solo grazie ai riflessi dell’amante, ma il gesto peggiora le cose: Carlo la insulta e la deride ancora una volta.
È la sera del 15 Settembre 1948, al Grand Hotel Villa D’Este viene presentata la collezione invernale della sarta milanese Biki, è presente tutta l’aristocrazia italiana e il mondo della moda. Pia è splendida, indossa un abito di seta bianco e una cappa di ermellino dello stesso colore; ironia della sorte, i Bellentani siedono allo stesso tavolo dei Sacchi e Mimì poco distante. È una continua tortura per lei vederlo ballare con la nuova fiamma e scambiarsi sguardi di intesa. Intorno alle 2:00 di notte Lamberto chiede a Pia di andargli a prendere il golf: è stanco e vuol tornare a casa. Pia esegue, ma non si limita a quello: afferra la pistola che il marito si porta sempre dietro e la nasconde sotto la cappa di ermellino (da qui la definizione di Delitto dell’Ermellino), si avvicina a Sacchi che si trova da solo al bar e lo minaccia. L’uomo continua ad insultarla, chiamandola terrona, finché il suo orgoglio di donna ferita non prende il sopravvento: estrae la pistola e spara. Un colpo secco al petto uccide Sacchi. Pia cerca di spararsi ma la pistola si inceppa e, in preda a una crisi isterica, si butta tra le braccia del marito.
Il processo inizia il 4 Marzo 1952, la difesa chiama il professor Filippo Saporito, che nella sua perizia la dichiara il vizio totale di mente: la donna, infatti, è affetta da un male ereditario dovuto alla sifilide di cui era malato il padre, che la rendeva temporaneamente incapace di distinguere le sue azioni, alterando la percezione della realtà. Il perito dell’accusa ne dichiara la semi infermità mentale e la sua perizia ha la meglio. Il 12 marzo Pia Bellentani viene condannata a 10 anni di reclusione, di cui tre condonati e tre da trascorrere in un manicomio criminale. In Appello le riducono la pena di altri tre anni, viene così trasportata nel manicomio criminale di Aversa. Lì mantiene il suo carattere schivo, ha rapporti solo con il direttore, legge, confeziona regali per le figlie e suona il pianoforte. In seguito viene tradotta nel carcere di Pozzuoli da cui esce il 23 Dicembre 1955 dopo la grazia concessa dal Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi.

Davanti ai giornalisti e alla folla accalcata davanti all’uscita, altera ed elegante come sempre, saluta come una diva, alzando la mano e salendo in una macchina nera di lusso diretta in Abruzzo, dove l’aspettano la madre e le figlie. Lamberto, rimasto sempre al suo fianco, muore poco dopo a Montecarlo. Pia avrebbe voluto scrivere un libro con le sue memorie e devolvere i guadagni a favore delle figlie di Sacchi, ma la vedova la querela. Infine, si trasferisce a Roma con le figlie, facendo vita ritirata, e lì muore nel 1980.
La cronaca ci ha restituito la donna come una fredda assassina, ma è davvero così? Certo, aveva tutto: bellezza, soldi, famiglia, ecc. Ma basta questo per essere felici? No, non basta, o almeno per lei non è stato così. Pia, in fondo, al di là della condanna (che sia giusta o meno) era un’anima in pena alla perenne ricerca dell’amore e di qualcosa che la rendesse finalmente felice. Ha trovato questo in un uomo, in una storia a senso unico. Voleva salvarlo, ma per farlo ha perso se stessa oltre alla sua dignità, calpestata per anni. La violenza psicologica è più subdola di quella fisica e, se vogliamo, anche più cattiva perché non lascia segni sul corpo ma nell’anima. E forse Pia ha iniziato a salvarsi, ribellandosi, proprio nel momento in cui ha premuto il grilletto. Nel modo peggiore, purtroppo.

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