
Di Lara Vanni
I fatti relativi a questo caso risalgono al 14 Marzo 1998 e si svolgono a Castelluccio dei Sauri, un piccolo paese della Puglia, in provincia di Foggia. Le protagoniste sono tre ragazze di 18 anni apparentemente “normali”, tre studentesse dell’Istituto Magistrale Poerio, tre amiche sin da bambine. Ma in quel maledetto pomeriggio, avviene un fatto atroce, un delitto premeditato: un oscuro segreto, ancora oggi non svelato.
Un caso che, per la prima volta, viene raccontato dai media con speciali dedicati e con lunghi articoli, anche se ci riferiamo ad un’epoca precedente a quella di internet. Si tratta di un delitto che, secondo molti professionisti, è entrato a far parte della migliore letteratura criminologica.
Nel pomeriggio del 14 Marzo 1998, le tre amiche, Nadia Roccia, Marilena Sica e Annamaria Botticelli si incontrano nel garage della famiglia Botticelli, per studiare e preparare insieme una tesina scolastica per la maturità, ormai alle porte. I familiari di Nadia, però, verso le 20.00 vengono allertati dalle migliori amiche della figlia, Marilena ed Annamaria: si sono allontanate per poco tempo, al loro ritorno hanno trovato la porta del garage chiusa dall’interno e Nadia non risponde. I genitori della ragazza corrono al garage, dove, dopo aver forzato la porta, rinvengono Nadia stesa sul pavimento con una corda legata al collo.
Carmine Roccia e il brigadiere Luigi Botticelli caricano rapidamente Nadia in auto per portarla all’ospedale di Foggia, ma la giovane è ormai senza vita: la temperatura corporea è già bassa, la causa della morte ipotizzata è il suicidio. Tale versione non convince gli uomini della Questura, vengono quindi avviate indagini più approfondite. La sera stessa i carabinieri eseguono un’ispezione del garage: sotto al tavolino dove le tre ragazze stavano studiando, viene trovata una lettera dattiloscritta riportante la firma di Nadia che risulterà autentica. Nella missiva, destinata ad Annamaria, vengono spiegate le ragioni del suo gesto. La giovane sarebbe stata innamorata della sua compagna di banco Annamaria, ma senza essere corrisposta. Nadia avrebbe dovuto, secondo quanto scritto nella lettera (che si scoprirà essere stata redatta da Marilena), confessare la sua omosessualità o suicidarsi, anche perché non avrebbe mai potuto sopportare le chiacchiere in paese.
Viene repertata anche una corda per saltare della lunghezza di poco più di due metri, ma dopo un’analisi accurata dei luoghi è evidente che il soffitto di quel garage misura all’incirca cinque metri e non ci sono degli “agganci” ai quali Nadia avrebbe potuto attaccarla.
In seguito a ricognizione cadaverica (esame esterno), la morte viene imputata ad una insufficienza cardio-respiratoria dovuta ad asfissia meccanica violenta: a livello della regione del collo, vi sono impronte ipostatiche che nascondono altre impronte latenti di dita di una mano piccola, forse di una donna. Da qui il caso non viene più trattato come un suicidio, ma si passa a studiare il caso come “l’omicidio di Nadia Roccia”.
Vengono convocate subito, come persone informate sui fatti, le due amiche Marilena e Annamaria, in quanto sono le ultime due persone ad aver visto in vita Nadia. Le giovani raccontano che la ragazza sarebbe arrivata a casa di Annamaria intorno alle 16.45 per studiare insieme, ma nel corso del pomeriggio si sarebbe sentita poco bene, chiedendo alle amiche di andare a comprarle qualcosa da mangiare. Rimasta sola, si sarebbe chiusa in quel garage. Le due sostengono fermamente l’ipotesi del suicidio. Annamaria sostiene, addirittura, che Nadia avrebbe tentato il suicidio già in precedenza, mentre si trovavano insieme a passeggio per Foggia.
Durante le intercettazioni ambientali, emerge una realtà ben diversa. All’interno della caserma di Foggia le ragazze, rimaste sole, inneggiano a Satana:
Lucifero è bello… bello… sta in mezzo alle mutandine.
E altre frasi che fanno pensare alla pista satanica:
Il sangue, lo abbiamo versato tutti.
Il demonio… non mi dire… che sono stata anch’io con il demonio ieri sera.
Gli inquirenti, pochi giorni dopo aver fermato le giovani, trovano alcuni simboli satanici disegnati su un palo accanto ad un muretto del paese e, successivamente, su un diario vengono trovate sia l’indicazione scritta che le coordinate proprio di quel palo. Inoltre, qualche tempo prima, proprio nel cimitero del paese era stato denunciato un furto avvenuto nella cappella, forse riconducibile proprio alle due ragazze: viene rubata una statuetta raffigurante Gesù Bambino, i cui capelli erano fatti con ciocche dei capelli di Annamaria. Nelle abitazioni delle due vengono ritrovate foto che le ritraggono in un cimitero, accanto ad una tomba e, in una delle due abitazioni, viene repertato un medaglione con un chiaro simbolo satanico. Nell’abitazione della Botticelli è appeso un quadro che ritrae il profilo di un uomo che, tramite un particolare gioco di specchi, rivela il volto di Satana.
Secondo il noto criminologo e neuropsichiatria Francesco Bruno, consulente della difesa di Annamaria Botticelli, l’omicidio sarebbe stato compiuto durante un rito esoterico, un rito di tipo propiziatorio, forse in presenza di altre persone, e Nadia potrebbe essere morta proprio in seguito ad un incidente come avviene spesso in questo tipo di riti. Dalle intercettazioni ambientali emergono riferimenti ad altre persone, anche se dopo ricerche approfondite non vengono trovati riscontri in ordine alla partecipazione di terzi.
Marilena è la prima a cedere e a scaricare l’enorme peso, confessando quello che ha fatto insieme all’amica, in modo, peraltro, molto superficiale e pieno di contraddizioni. La motivazione di quel delitto, secondo quanto detto dalle giovani, è da riportarsi al piano esoterico: l’omicidio sarebbe stato ordinato dal padre di Marilena Sica, morto nel 1980 quando la giovane aveva appena 8 mesi, apparso in visione, o in sogno, alla Botticelli, con la promessa che, dopo aver commesso il delitto, il loro futuro sarebbe stato brillante: avrebbero vinto al gioco del lotto e si sarebbe rafforzata ancora di più la loro amicizia. Marilena ed Annamaria preparano l’assassinio in ogni dettaglio: si incontrano all’ora stabilita con Nadia.
Marilena racconta:
Eravamo sedute a studiare. Annamaria mi ha dato un colpetto alla gamba. Mi sono alzata e anche Annamaria è andata a spegnere la luce… io comincio a togliere la sciarpa. Spegne la luce… Il tempo di arrivare qui… Nadia ha cominciato ad urlare… Anna Maria mi ha detto ‘tappale la bocca’… a quel punto Nadia disse: “Ragazze, ma che state facendo?”, e cominciò a reagire.
Marilena, quindi, tenta di strangolare Nadia con la sciarpa. Non riesce da sola ad uccidere l’amica, ha bisogno dell’aiuto di Annamaria che, a sua volta, stringe le mani attorno al collo della povera vittima. Alla fine Marilena esclama:
Ora credo che vada bene così.
Secondo le cronache del tempo ci sarebbe stato un testimone che avrebbe visto le due amiche, Annamaria e Marilena, in compagnia di un signore più anziano di loro, distinto, che guidava un’auto scura di grossa cilindrata. Qualcuno arriva a sospettare che in paese, o nei dintorni di esso, possa esistere un giro di sfruttamento sessuale legato ad una qualche setta satanica e che Nadia fosse venuta, in qualche modo, a conoscenza di questa realtà e per questo doveva essere eliminata.
Durante il processo viene però accantonato il movente satanico, sottolineando quello economico: si scopre, infatti, che le ragazze sarebbero dovute partire per un viaggio in America presso uno zio di Nadia, viaggio che poi viene ritrattato e negato dalla stessa vittima. Ma non viene mai accantonata del tutto l’idea di un omicidio a sfondo sessuale, sviluppatosi nell’ambiente esoterico della zona. Inoltre, si scopre che le ragazze avevano già tentato, in precedenza, di uccidere Nadia: avevano provato a farle bere una bibita “corretta” con una dose di pesticida.
Annamaria Botticelli è la ragazza che presenta i maggiori problemi sul piano neuro-psichiatrico, ma forse entrambe avrebbero agito in uno stato di limitata capacità di intendere e di volere, anche perché a tutte e due vengono diagnosticati disturbi di personalità. Il dott. Bruno sostiene che Annamaria sia affetta da un’evidente patologia psichiatrica riconducibile alla schizofrenia, oltre che da personalità multipla, disturbo istrionico di personalità e disturbo narcisistico; Marilena, invece, sarebbe affetta da immaturità sul piano affettivo dovuta ad un difficile rapporto con la madre e alla prematura scomparsa del padre.
Durante l’incidente probatorio, il 16 Aprile 1998, in cui si ripercorre la dinamica stessa del delitto, le giovani assumono un atteggiamento freddo e distaccato, addirittura la Botticelli si trucca prima della ripresa delle telecamere. Durante il processo vengono considerate capaci di intendere e di volere, anche se immature, afflitte da solitudine, narcisismo ed ipertrofizzazione della sessualità.
Per questo delitto, le due vengono condannate all’ergastolo, ridotto in appello a 25 anni per infermità mentale, ed infine a 21 anni per l’entrata in vigore del patteggiamento. Nel 2003 Annamaria Botticelli viene scarcerata in quanto le viene diagnosticata la sclerosi multipla: adesso vive nel nord Italia. Nell’aprile del 2013, si conclude per entrambe l’esperienza giudiziaria per fine pena.
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