
Nato a Siniscola in Sardegna, da ragazzo si trasferisce a Ostia, frazione litoranea di Roma, dove in breve tempo diventa un esponente di spicco della criminalità locale. Nel 1975 finisce per la prima volta in carcere, accusato di tentato omicidio plurimo, furto e altri reati. Dal gennaio all’agosto 1976, è a capo di una batteria dedita alle rapine, di cui fanno parte Fulvio Lucioli, Gianni Girlando, Gianfranco Urbani, Renato Capogna, Franco Apolloni, Raffaele Simeoni e altri complici occasionali.
Secondo Antonio Mancini, all’epoca detenuto insieme a Selis, è proprio durante la permanenza a Regina Coeli che il Sardo pensa di creare a Roma una realtà criminale associativa sulla falsariga della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo a Napoli, allo scopo di monopolizzare il proprio territorio escludendo infiltrazioni di altre organizzazioni provenienti da zone diverse. Selis e Mancini, soprannominato l’Accattone, aggregano al gruppo Edoardo “Operaietto” Toscano, Angelo “er Catena” De Angelis, Gianni “er Roscio” Girlando, Vittorio “er Coniglio” Carnovale e Libero Mancone. In seguito si alleano con la batteria di Franco “er Negro” Giuseppucci, Enrico “Renatino” De Pedis e Maurizio “Crispino” Abbatino.
Nasce così il nucleo storico della Banda della Magliana, in particolare a seguito dell’evasione dello stesso Selis da Regina Coeli, insieme fra gli altri a Edoardo Toscano, Giuseppe “Guancialotto” Magliolo e Walter Gobbetti. Successivamente, a Fiuggi, avviene un incontro con Cutolo, all’epoca latitante, a cui partecipano anche Giuseppucci, Abbatino e Marcello Colafigli, al fine di concordare una strategia comune, che fosse compatibile sia con gli interessi dei romani che con quelli di don Raffaele. Quest’ultimo dopo essersi allontanato dall’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa, nel febbraio 1978, sollecita un contatto con Nicolino Selis. Si erano conosciuti al Centro clinico del carcere di Poggioreale e incontrati di nuovo proprio all’Opg di Aversa, facendo subito amicizia. Di lui si fida «ciecamente» perciò gli chiede di raggiungerlo in una masseria, che aveva fatto prendere da Giuseppe Lettieri ad Albanella, dove si è rifugiato dopo l’evasione.
Cutolo e Selis stringono un patto segreto: Il Sardo, che della cosa terrà all’oscuro i compari romani, diventa «capozona» cutoliano a Roma. D quel momento, saranno diversi gli incontri fra i due: a Roma e a Fiumicino, nel ristorante Bastianelli e, almeno un paio di volte ancora, ad Albanella. Per conto di Cutolo, Selis si adopera anche per individuare la prigione dove le Brigate Rosse custodivano Aldo Moro.
Il primo atto a cui Nicolino partecipa assieme alla neonata Banda della Magliana è l’omicidio di Franco Nicolini, detto “Franchino er Criminale”, padrone incontrastato di tutte le scommesse clandestine all’Ippodromo Tor di Valle. Le sue attività illegali suscitano ben presto l’interesse del nascente sodalizio criminale, anche se il motivo primario del suo assassinio fu un torto subito dallo stesso Selis nel 1974 nel corso di un periodo di comune detenzione, quando, durante una rivolta dei detenuti, Nicolini si schierò dalla parte delle guardie carcerarie per ristabilire l’ordine e, agli insulti di Selis, rispose schiaffeggiandolo in pieno volto di fronte agli altri carcerati.
Il 25 luglio 1978, nel parcheggio dell’ippodromo, Nicolini viene avvicinato da un gruppo di sette persone e ucciso. L’eliminazione di Franchino rappresenta un passo da gigante per la Banda che da quel momento ha via libera per poter gestire una gigantesca fonte di guadagno. Nicolino Selis diventa uno dei capi riconosciuti del gruppo criminale, a capo della fazione che si occupa della controllo del territorio e della vendita dello stupefacente nelle zone di Ostia ed Acilia.
Alla richiesta di meglio precisare il movente dell’omicidio di Franco Nicolini, ribadisco quanto in proposito ho già dichiarato nei miei precedenti interrogatori: chi aveva motivi per volere la morte di “Franchino il Criminale” era Nicolino Selis, il quale ci chiese di aiutarlo nell’impresa per saggiare la nostra affidabilità nel momento in cui vi era la prospettiva di realizzare la fusione tra il nostro e il suo gruppo. All’epoca, stante l’interesse alla integrazione dei due gruppi, non chiedemmo al Selis di spiegarci puntualmente le ragioni per cui voleva commettere l’omicidio, d’altra parte il Selis ci disse che si trattava di un suo fatto personale e ci era noto, al riguardo, che tra il Nicolini e il Selis, vari anni prima, durante una comune detenzione dei due, vi erano stati dei violenti screzi, nel carcere di Regina Coeli. Al progetto del Selis di uccidere il Nicolini, non solo non ci opponemmo, ma lo aiutammo, sia per le ragioni sopra esposte, sia perché anche il Giuseppucci vi era in qualche modo interessato, essendo disturbato dalla presenza del Nicolini presso l’ippodromo di Tor di Valle. Per maggior chiarezza, il Giuseppucci riusciva quasi sempre a condizionare l’andamento di qualche corsa, il Nicolini, da parte sua, essendo un allibratore di un certo calibro e avendo un sostanziale controllo dell’ippodromo, spesso intralciava i programmi del primo.
(Interrogatorio di Maurizio Abbatino dell’11 febbraio 1993)
All’inizio degli Anni ’80, però, i rapporti in seno al gruppo criminale cominciano a scricchiolare: divisi da contrasti sempre più grandi e insanabili, da gelosie e rivendicazioni, i membri dell’organizzazione non riescono più a trovare una loro compattezza dando luogo, invece, ad una vera e propria faida interna. Lo stesso Selis, dal manicomio giudiziario dove è internato, comincia ad inviare messaggi minacciosi agli altri componenti e a pretendere di imporre agli altri la sua personale spartizione delle ingenti somme di denaro, provento delle varie attività illecite gestite dalla Banda. La goccia che fa traboccare il vaso riguarda la spartizione di una nuova fornitura di eroina, come raccontato dal collaboratore di giustizia Maurizio Abbatino:
Ci fu un errore di valutazione in ordine a quanto accadeva fuori dal carcere da parte di Nicolino Selis. Questi era entrato in contatto con dei siciliani, i quali gli avevano assicurato la fornitura di tre chilogrammi di eroina. Secondo gli accordi, tale fornitura avrebbe dovuto essere ripartita al 50% tra il suo e il nostro gruppo, ma Nicolino ritenne di operare una ripartizione di due chilogrammi per i suoi e di uno per noi e, pertanto, impartì al Toscano istruzioni in tal senso. Si trattò di un passo falso: Edoardo Toscano non attendeva altro. Mi mostrò immediatamente la lettera, fornendo così la prova del “tradimento” del Selis, col quale diventava non più rinviabile il “chiarimento”. In altre parole, Nicolino Selis doveva morire.
Pensava di dettar legge, di cambiare le nostre regole. Pretendeva che durante i suoi periodi di carcerazione fosse il fratello a sostituirlo, uno inaffidabile, con problemi di dipendenza, e chiedeva una stecca pure per lui. Toscano faceva parte del suo gruppo ma era mio amico, e mi portò immediatamente la lettera con le indicazioni di Selis: si stava montando la testa, era evidente. Mi informarono che non era solo un conoscente di Cutolo, ma che era affiliato addirittura alla camorra, e davanti al dubbio che volesse prendere il comando dell’intera banda, appoggiato da don Raffaele, io e Edoardo decidemmo che doveva morire. Ci fu una riunione e gli altri approvarono.
Entrato in contatto con dei siciliani che gli assicurano la fornitura di 3 chili di eroina, decide di non dividere la droga in parti uguali tra i due gruppi che all’epoca costituiscono la banda. Impartisce, invece, l’ordine di trattenerne 2 chili per i suoi e di darne solo uno agli altri. Passo falso clamoroso: l’Operaietto non attendeva altro e mostra subito la lettera ad Abbatino, fornendo la prova del «tradimento». A quel punto, il chiarimento non è più rinviabile, così viene combinato un incontro.
Il 3 febbraio 1981, Selis viene attirato in trappola col pretesto di una riappacificazione. Uscito dal manicomio giudiziario per un breve permesso e accompagnato dal cognato Antonio Leccese, arriva all’appuntamento davanti alla vecchia Fiera di Roma in via Cristoforo Colombo, nei pressi dell’EUR, dove trova ad attenderlo Marcello Colafigli, Maurizio Abbatino, Edoardo Toscano, Raffaele Pernasetti, Enrico De Pedis e Danilo Abbruciati.
Leccese, che è in libertà vigilata e ogni giorno, ad una ora precisa, deve recarsi presso il commissariato di polizia a firmare, non viene trattenuto per non dare nell’occhio, mentre Selis viene portato alla villa di Libero Mancone ad Acilia, dove viene ammazzato da Abbatino e Toscano. Con la scusa di un abbraccio di riappacificazione dà le spalle ad Abbatino che ha il tempo di estrarre la pistola nascosta in una scatola di cioccolatini e sparare contro il Sardo due proiettili, seguiti da altri due di Toscano. Il suo corpo viene sepolto in una buca vicino all’argine del Tevere e ricoperto con della calce viva per velocizzarne la decomposizione, ma a tutt’oggi non è stato ancora ritrovato. Quello stesso giorno anche Leccese viene eliminato da Abbruciati, De Pedis e Mancini perché unico testimone ad aver visto per l’ultima volta Nicolino mentre era con Abbatino e gli altri.
Non avendo più alcuna notizia del capozona cutoliano a Roma, dal carcere di Ascoli Piceno in cui è recluso anche Cutolo, Giuseppe Magliolo scrive una lettera con la quale fa presente che lui e don Raffaele esigono spiegazioni circa la scomparsa dell’amico. La Banda non si lascia intimorire e fa sapere che O’ Professore non ha titolo per mettere il naso nelle faccende interne dell’organizzazione capitolina. Allo stesso tempo, però, si ritiene che Magliolo, visto il tono della lettera, rappresenti un pericolo da eliminare al più presto: il 25 novembre dello stesso anno, Edoardo Toscano lo uccide con un colpo alla testa. Stessa sorte tocca a Michele “Guancialotto” D’Alto, che si ritiene faccia parte del gruppo di quelli che accarezzano il progetto di vendicare Il Sardo.
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