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Di Nunzia Procida
A volte le risposte, le soluzioni che ci sembrano più banali risultano essere le migliori se non addirittura quelle più vicine alla verità.
La nostra indagine, grossolanamente considerata, dava la facile impressione di racchiudere un banale dramma di delinquenza sanguinaria, mosso da cupidigia di denaro.
scrive il professor Filippo Saporito nel 1943 nella sua perizia psichiatrica sul caso Cianciulli.
I tre omicidi compiuti dalla Saponificatrice avevano una matrice economica: la dama della Croce Rossa Americana era, all’epoca degli assassini, una pregiudicata per furto e truffa che aveva scoperto, già durante la sua adolescenza, quanto potesse essere proficuo speculare sui drammi e sui sentimenti altrui.
Ecco che, quando inizia il suo processo ed incontra Saporito, Leonarda non riesce quasi a credere quanto sia stata fortunata: il perito psichiatra le ha dato la possibilità di raccontare in forma scritta la sua vita, i suoi crimini, le sue memorie. Lo fa perché nel suo memoriale di 748 pagine – che scrive in 10 mesi – raccoglie tutti i suoi pensieri nel modo che le riesce meglio: mentendo.
Saporito legge il suo scritto, Confessioni di un’anima amareggiata, e crede a tutto, ad ogni singola parola, ma soprattutto scorge in quel diario la nevrosi che attanaglia Leonarda. E’ la maternità a governare la vita della Cianciulli: una maternità “gonfia, ipertrofica, turgida, l’elefantiasi della maternità”, che lei ha vissuto per diciassette volte in maniera esperienziale completamente differente dalle altre donne. Una tesi avvalorata anche dal numero di figli sopravvissuti: quattro.
Nel suo delirio letterario, la Saponificatrice non parla d’altro se non dei suoi figli e di come cucinasse il cibo per nutrirli. Il cibo è sì nutrimento ma è anche oggetto di scambio con la morte: sì perché – racconta – lei lo prepara con i cadaveri delle sue vittime. Un esempio: le ciambelle? Col sangue rappreso! E poi come facesse a profumare tanto quello che lei chiama “il mio signore”, Raffaele Palmigiani – il marito che soleva spendere tutti i risparmi in osteria e tornato a casa, ubriaco, la malmenava – è presto detto: è grazie ai saponi da lei preparati col grasso delle donne uccise.
Leonarda descrive nei minimi dettagli le uccisioni, gli smembramenti, la saponificazione. Peccato, però, che lei non avesse né l’esperienza né l’abilità per smembrare con precisione da macellaio un corpo né sapesse fare il sapone. A dirlo, sono proprio le minuzie di particolari che lei stessa si ostina a riportare in forma scritta: i metodi di sezionamento dei corpi, i tempi di ebollizione, i quantitativi di acqua e soda sono tutti completamente sbagliati.
Nonostante si sappia con certezza che la Cianciulli abbia solo provato a saponificare, vale la pena contestualizzare gli eventi: siamo negli anni Quaranta del Novecento, gli stessi che ospitano nell’immaginario collettivo la storia degli ebrei ridotti a sapone dai nazisti. Sono talmente tante le similitudini che le due storie possono, a tratti, (con)fondersi: lo stesso metodo, la stessa ferocia, magari nel caso di Correggio più casalinga e di gran lunga meno industriale. Eppure, il risultato è fallito in entrambi i casi dimostrando, però, come si possa annientare, sfregiare, deridere, la vittima anche post mortem.
Per un banale sillogismo, il fatto che la Cianciulli abbia agito come i nazisti la fa apparire ai nostri occhi senza difficoltà come una di loro: come l’incarnazione del Male. Un Male che affascina, seduce, spaventa mentre risponde al nostro bisogno atavico di esorcizzarlo.
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