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Di Lara Vanni
In tutto il mondo la casa, che dovrebbe essere il luogo in assoluto più sicuro, spesso si rivela essere, invece, il luogo dove avvengono le più gravi violazioni dei diritti delle donne di ogni classe sociale, razza e religione ad opera di uomini con i quali condividono la quotidianità.
Tali violazioni avvengono nel silenzio, nella totale indifferenza o, addirittura, coperte dalla tolleranza dei governi stessi che non adottano i provvedimenti necessari per impedire tali crimini. Le violenze psicologiche e fisiche rappresentano un fenomeno molto diffuso, che coinvolge molte più donne di quante possiamo immaginare: in pratica, una parte della popolazione mondiale non vede riconosciuto il proprio diritto alla libertà e alla giustizia.
I casi di violenza domestica rappresentano un oltraggio all’integrità fisica e psicologica delle vittime, alla loro libertà di effettuare le proprie scelte; l’impunità in cui vivono gli autori delle violenze, la permissività e le giustificazioni presenti in alcune culture, permettono la continuazione di tali crimini. Questi ultimi, ad oggi, costituiscono la prima causa di morte o di invalidità permanente.
Anche in questi casi, quando la violenza proviene da persone vicine come mariti, compagni, padri o fratelli, viene a mancare il riferimento ed il sostegno di cui le vittime hanno bisogno. In alcuni paesi, ad esempio, lo “stupro coniugale” non è considerato un reato essendo largamente accettato il fatto che il matrimonio debba includere l’accesso illimitato alla coniuge, con tutte le conseguenze del caso. Inoltre, molte donne sono costrette a rapporti sessuali in età giovanile, usanza che comporta gravi ripercussioni: dalle malattie infettive, come l’HIV, a quelle veneree; traumi e lacerazioni agli organi interni, quando non sopraggiungono gravidanze indesiderate e gravi problemi di tipo ginecologico.
L’aspetto più drammatico è che le discriminazioni in molti casi sono già previste nelle norme: esistono, infatti, leggi in cui sono previsti divieti ed obblighi solo a carico delle donne. Per questo, la legislazione stessa ed il sistema giudiziario creano terreno fertile per la violenza di genere, dal momento che questo fenomeno non sempre è considerato un reato, oppure, laddove lo fosse, le pene comminate sono molto blande. Come se non bastasse, le Forze di Polizia e di Sicurezza di frequente si schierano dalla parte del maltrattante nel chiaro tentativo di controllare o svilire le vittime. Va considerato anche il fatto che, se la violenza avviene in costanza di relazione sentimentale, è molto più tollerata rispetto ad una stessa violenza perpetrata all’esterno della coppia.
Per fare qualche esempio di leggi discriminatorie nei confronti delle donne, in alcuni paesi africani esse non possono accedere all’eredità, mentre in altri non possono diventare imprenditrici, essendo loro vietato di essere intestatarie di conti correnti o di finanziamenti bancari se non insieme al marito. Addirittura, alcune leggi non permettono alla donna la piena titolarità dei propri diritti, dovendo rimanere subordinata all’uomo: prima al padre e, successivamente, al marito.
In Iraq le donne non possono diventare magistrati né ingegneri, addirittura potrebbero essere arrestate dalla polizia religiosa se non portano il velo o lo portano in modo sbagliato; nei paesi arabi le donne non possono guidare l’auto o andare in bicicletta e, anche in questo caso, potrebbero essere arrestate se portano vesti ritenute non adeguate; in Arabia, Pakistan, Sudan e in Nigeria, vige ancora la lapidazione come condanna per le donne accusate di adulterio, anche presunto, ammettendo ancora il delitto d’onore da parte del marito, del padre o del fratello; in India, nel 1983, è stata varata una legge che prevede l’arresto immediato del reo in caso di denuncia di maltrattamenti, ma la Corte Suprema Indiana si è più volte espressa contro tale provvedimento.
In altri paesi, addirittura, si devono seguire vere e proprie regole per poter picchiare le donne e punirle: ad esempio, non possono essere percosse sul volto, perché contrario alla legge. Le botte dovrebbero essere lievi per far capire alla donna che ha superato i limiti e che oltre non deve andare; l’uomo può picchiarla solo in punti del corpo dove non si formerà il livido (non sulle mani); non deve, quindi, malmenarla come si potrebbe fare con un animale o con un bambino, perché bisogna portare rispetto alla moglie.
E’ evidente, quindi, che molti paesi siano caratterizzati da una cultura secondo la quale alla donna è negata ogni tipo di scelta, in quanto concepita come esclusiva “proprietà” dell’uomo che in alcuni casi ha la facoltà, se non l’obbligo, di punire qualsiasi trasgressione, anche presunta, che vada contro la cultura e la tradizione mediante percosse oppure mutilazioni di varia natura.
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