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A Salò in Mostra i Cadaveri dei Briganti

8 Marzo 2018 da Webmaster Lascia un commento

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L’Italietta soporifera anestetizza con la retorica risorgimentale la mente degli italiani. Piuttosto che raccontar loro come fu fatta l’Italia, preferiscono indignarsi alla bisogna, applaudire il fumo tricolore delle Frecce azzurre e mettere la mano sul petto quando gioca la nazionale di calcio. Non fu un pranzo di gala, l’annessione del resto della penisola al piemonte.

Se vi indignate per gli esperimenti compiuti dai medici nazisti nei campi di sterminio, a danno dei prigionieri ebrei, rom ed omosessuali, parimente dovreste indignarvi, sapendo che, qualche anno prima, ciò accadde anche a casa dei Savoia.

Non andarono molto per il sottile le truppe piemontesi, soprattutto nei confronti di chi difendeva la propria terra e fu chiamato “brigante”. Ai morti fu tagliata la testa ed usata da Lombroso per dimostrare la propensione alla delinquenza dell’“homo terrone”, ai vivi fu riservata sorte peggiore. Molti furono imprigionati nel carcere di Fenestrelle, alcuni di essi usati per esperimenti sulla mummificazione.

Il risultato di quegli esperimenti è oggi messo (indecorosamente) in mostra a Salò, secondo quanto riporta la Stampa, 13 briganti usati per sperimentare misteriosi preparati capaci di “pietrificare” i cadaveri.

Le “opere” che saranno esposte, riscoperte grazie a uno studio italo-tedesco, erano state custodite per più di un secolo nell’ospedale della città e sono il prodotto dell’ invenzione di un singolare medico imbalsamatore, il professor Giovan Battista Rini, nato proprio a Salò nel 1795. Si tratta di briganti molto probabilmente fucilati, tra di essi anche una donna.

Quei tredici briganti, trasformati in reperti da museo, almeno potranno ancora oggi raccontarsi, attraverso quello che era il loro volto, in alcuni casi straordinariamente conservato grazie alle tecniche segrete del loro imbalsamatore. (La Stampa)

E cosa potranno mai raccontare quei volti, se non la fierezza di chi difende, con la propria vita, la sacertà della propria terra, ricoperti fino alla fine con l’onta della diffamazione? Se al posto della retorica, agli italiani raccontassero la verità su come diventarono fratelli, molti nodi irrisolti potrebbero trovare soluzione.

E per sconfiggere il brigantaggio ed inaugurare l’emigrazione
bisogna uccidere il coraggio e Ninco Nanco è meglio che muore.
Perché lui è nato zappaterra ed ammazzarlo non è reato
e dopo un colpo di rivoltella l’hanno pure fotografato.
E la sua anima è già distante, ma sul suo volto resta il sorriso,
l’ultima sfida di un brigante: “Quant’è bello murire acciso.

(Eugenio Bennato in Ninco Nanco)

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