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Di Lara Vanni
Anders Behring Breivik, in appena tre ore, ha ucciso 77 persone innocenti, ne ha ferite oltre 300, pianificando il suo attacco per ben tre anni in nome del Cristianesimo,.
Nasce a Londra il 13 febbraio 1979 e cresce ad Oslo. È figlio di un diplomatico, ma la sua famiglia non è unita, anche se riceve ugualmente una buona educazione: niente può far presagire seri disturbi della personalità.
Di estrema destra, Breivik è islamofobo, xenofobo e razzista: il suo obiettivo è quello di riportare in tutta l’Europa la sua visione della Cristianità. La Norvegia è un paese liberale, aperto e tollerante.
Tutto ha inizio a maggio 2011, 82 giorni prima della data del massacro: Breivik si trasferisce in una fattoria isolata a circa 160 km a nord di Oslo. Produce un vaneggiante manifesto di 1500 pagine, intitolato “Dichiarazione Europea di Indipendenza”: in parte è la sua autobiografia, in parte è uno sfogo politico, in cui esprime i suoi credi razziali, ed in parte è un manuale per il terrorista, per potenziali successori. Nella parte autobiografica, egli si descrive in modo molto particolareggiato: si definisce “un trentaduenne ex impiegato di banca, intelligente e motivato”. Dichiara di essere stato un imprenditore milionario in una vita precedente, ma in realtà vive come un recluso ed ha pochissimi amici. È un culturista che fa uso di steroidi, è un fanatico di armi e si considera un “crociato della destra”, un “salvatore del Cristianesimo”, un “ufficiale dei Cavalieri Templari” e “flagello dell’Islam”.
Il suo progetto prevede una vera e propria campagna del terrore necessaria, a suo vedere, per liberare la Norvegia e l’Europa dai Musulmani, cercando di punire, al contempo, i politici che promuovono il multiculturalismo: un progetto che vuole risolvere il problema dell’immigrazione, per cui “il fallimento non è ammissibile”.
Nello scritto, verso la fine, egli dedica a sé stesso una nota: “Buona fortuna e scatena l’inferno”.
In questa fattoria, Breivik finisce il suo manifesto, nasconde il suo arsenale e costruisce una bomba: nessuno si accorge di nulla e tutti lo considerano un ragazzo educato, normale. Si procura i componenti per la bomba su internet, uscendo solo per comprarsi le provviste alimentari necessarie.
Il 21 luglio 2011 tutto è pronto: lascia il suo furgone alla fattoria ed in taxi si reca sul posto prescelto per un’ultima ricognizione e per gli ultimi ritocchi.
Venerdì 22 luglio 2011, verso le 10.00 del mattino si collega ad internet per l’ultima volta, caricando su YouTube un video anti-islamico e delle foto che lo ritraggono vestito con un uniforme dei Cavalieri Templari ornata di medaglie, una seconda con i paramenti massonici, ed una terza con una tuta da guerra batteriologica. Nell’ultima foto, è vestito normalmente.
Inoltre, nel suo diario scrive: “Bisogna essere perfetti per andare in scena”.
Poco prima dell’ora di pranzo, invia il suo manifesto a quasi 6000 persone che ritiene potenziali seguaci, appartenenti alla destra di tutta Europa, firmandolo Andrew Berwick (versione inglese del suo nome). Dopodiché lascia la fattoria con direzione Oslo.
Verso le 15.30, ad Oslo Breivik parcheggia il suo furgone pieno di esplosivo, davanti ad un edificio governativo nel centro della città. Poco dopo, la bomba esplode. L’esplosione è così potente, che manda in frantumi le finestre dei palazzi nel raggio di un chilometro e le strade si coprono di detriti, di macerie, di sangue. 8 morti e moltissimi feriti. La bomba è costruita con fertilizzante ed alimentata a carburante: è il peggior attacco che il paese abbia mai subito dalla Seconda Guerra Mondiale.
Questo devastante attacco sarà solo un diversivo per occupare le forze e l’attenzione: Breivik, infatti, si sta già spostando verso il suo secondo obiettivo.
Nella piccola isola di Utoya, a 40 km a nord di Oslo, ci sono sette piccoli edifici, tra cui una scuola dismessa, una fattoria ed un granaio. In quel periodo c’è anche un campeggio, dove 600 giovani membri del Partito Laburista stanno trascorrendo la loro vacanza estiva, una sorta di ritiro politico: non sono musulmani, ma rappresentano la nuova generazione della sinistra, quindi, per lui, un pericolo da eliminare per dare voce al suo progetto. I giovani hanno appena saputo della bomba esplosa ad Olso e, dopo essersi messi in contatto con i parenti e gli amici, credono che quello sia il posto più sicuro in cui potevano trovarsi.
Breivik, poco prima delle 17.00, si avvicina all’isola con una barca noleggiata, armato e travestito da poliziotto: l’obiettivo è quello di avere un aspetto rassicurante. Giunto a riva, dopo aver percorso il canale di 500 metri che separa l’isola dalla terra ferma, alcuni giovani gli si fanno incontro, ma lui, improvvisamente, spara ad ognuno di loro, a distanza ravvicinata. Poi, con calma, si dirige verso l’edificio principale, dove i ragazzi si erano radunati: alcuni si avvicinano a lui ed apre il fuoco. Le persone cercano di fuggire, urlano in preda al panico, vengono colpite alla schiena mente corrono verso l’uscita: un ragazzo cade a terra ferito e Breivik, avvicinatosi a lui, gli spara in testa. Dopo aver sentito gli spari, molti giovani si nascondono nel bosco, dietro le rocce o si buttano in acqua. Breivik esce e continua la sua passeggiata di morte attraverso il campeggio: spara ad altre vittime all’interno delle tende, dopo averle aperte lentamente. Cerca persone da uccidere in tutta l’isola poi, arrivato sulla costa, osserva i cadaveri che galleggiano nell’acqua bassa.
L’assassino uccide indisturbato, con calma, lentezza e brutalità, e questo inferno dura per ben 90 minuti.
Alle 18.25, finalmente, arriva da Oslo l’Unità Speciale Antiterrorismo della Polizia: due gruppi di cinque elementi sbarcano sull’isola, un gruppo a nord ed uno a sud. Immediatamente, i sopravvissuti pensano che quei poliziotti, armati di mitragliatrici, siano i complici dell’assassino, giunti per concludere la carneficina. Così cominciano a tirare sassi, a gridare, a piangere disperati, credendo che la loro ora sia arrivata. Ma questi poliziotti cominciano subito a prendersi cura dei feriti ed i giovani si tranquillizzano. In tutto, i ragazzi uccisi sono 69.
I poliziotti trovano Breivik che depone le armi, alza le mani e si arrende, senza opporre alcuna resistenza. Nel frattempo, molte barche portano via i feriti dall’isola verso la costa: vengono tratti in salvo anche molti giovani che nuotano nel canale, nonostante l’acqua gelida.
Lunedì 25 luglio 2011, ore 12,00: Breivik viene portato al tribunale di Oslo per la prima udienza: telecamere, giornalisti e abitanti della città sono in attesa di vedere l’assassino, ma il giudice decide che quel processo deve tenersi a porte chiuse. In aula, viene letta una sua dichiarazione:
“chiunque abbia una coscienza, non può permettere che il suo paese venga colonizzato dai musulmani”.
Solo 72 ore dopo il massacro, non mostra alcun segno di pentimento, non comprende la portata del suo attacco, anzi sembra quasi compiaciuto per ciò che ha commesso.
Gli inquirenti si chiedono se l’uomo possa aver agito davvero da solo, così come dichiara.
A quel punto, Breivik viene descritto ed etichettato in molti modi, ma il Prof. David Wilson, psicologo criminale ed ex direttore di una prigione, lo definisce come affetto da disturbi di personalità, un narcisista solitario, un soggetto paranoico con un disperato bisogno di attenzioni.
Lo psichiatra forense Jeremy Coid, dal canto suo, dichiara che Breivik non ha mostrato alcun segno di pazzia: in quello che ha messo in atto, infatti, c’è una lunga premeditazione, durata tre anni, nessuna alterazione dell’umore o assunzione di droghe o alcool, nessuna perdita di controllo. Tutto è andato secondo i suoi piani, secondo il suo progetto.
Durante quella prima udienza, emergono dei fatti: nel marzo 2011, Breivik aveva già attirato l’attenzione dei servizi segreti, in quanto cercava di comprare dei prodotti chimici dalla Polonia; inoltre, sembra che fosse in contatto con altre due cellule, sollevando la possibilità di altri attacchi. Poi, si vantava dei suoi legami con i gruppi della destra inglese, soprattutto con l’English Defence League, un gruppo militante anti-islamico.
Il processo dura 13 mesi, alla fine viene emessa la sentenza: Breivik sorride soddisfatto mentre viene considerato sano di mente e condannato ad una detenzione preventiva che va dai 10 fino ad un massimo di 21 anni.
Il codice penale norvegese non prevede la pena di morte o la condanna all’ergastolo ed il massimo della pena per un delitto è la condanna a 21 anni di galera.
La detenzione preventiva permette di prorogare la carcerazione anche all’infinito, anche oltre il limite massimo, fino a quando il detenuto sia considerato un pericolo per la società. In questo modo si può aggirare il fatto che il diritto norvegese non preveda l’ergastolo neppure per crimini così efferati.
Lasciando l’aula di tribunale, l’uomo ha dichiarato:
“Chiedo scusa ai militanti nazionalisti per non aver ucciso più persone”.
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